Anteprima mondiale a Hollywood per il terzo capitolo di “Avatar”

Il 17 dicembre arriva nelle sale italiane Avatar: Fuoco e cenere. Il terzo capitolo dedicato all’universo narrativo di Pandora nasce, ancora una volta, dal genio di James Cameron. Il cineasta canadese è creatore di tre dei quattro film più redditizi della storia: i primi due Avatar del 2009 e del 2022 (2,9 e 2,3 miliardi di dollari rispettivamente) e Titanic, che ne incassò 2,2 nel 1997. Avatar: Fuoco e cenere, presentato ieri in anteprima mondiale al Dolby Theatre di Los Angeles, racconta una nuova storia. I nativi non sono più solo buoni, innocenti e uniti contro gli umani che cercano di distruggerli. Entrano in scena nuovi clan Na’vi, come l’aggressivo Popolo della cenere, che ha rinnegato la fede nello spirito guida di Pandora, Eywa, e quello del Vento, una tribù nomade che si muove a bordo di creature volanti. “Mi chiedono – afferma Cameron – della tecnologia utilizzata, ma Avatar è recitazione allo stato puro. Quando faccio un film normale, solo il 50 per cento della mia attenzione può andare agli attori. Con la performance capture, invece, sono con loro al 100 per cento. Non devo pensare al dolly, alle gru, al tramonto o a come si comportano le comparse sullo sfondo, ai veicoli in movimento. Non sto dietro a un monitor a tener d’occhio tutto. Sono vicino a loro”.

Lo mostra il documentario disponibile su Disney+ Fuoco e Acqua: making of dei film di Avatar. Gli attori, tute nere piene di sensori e pallini disegnati sul volto, si muovono in uno spazio praticamente vuoto, con il green screen, mentre le macchine da presa registrano i movimenti dei loro corpi, le espressioni facciali e la voce, per poi trasferirli al personaggio creato dal computer. Cameron, 71 anni, capelli canuti ma occhi e mani accesi d’entusiasmo, è sempre al loro fianco. “Avatar – spiega il regista – ha rivoluzionato il mio modo di lavorare con il cast. Di solito si studiano i personaggi in preparazione, perché poi sul set le ore sono contate, con la location disponibile per due giorni o la luce che cambia. Nel volume (il teatro di posa creato nei suoi studi di Manhattan Beach) facciamo prove ogni giorno. A volte restiamo seduti a discutere per un’ora, due. Poi ci mettiamo a improvvisare”.

È Oona Chaplin a rendere più esplicita la riflessione: “Non lavoravo così su un personaggio da quando frequentavo la scuola di arte drammatica. Girare Avatar è stato come mettere su una recita scolastica”, dice la nipote di Charlie Chaplin, che nell’ultimo kolossal di Cameron interpreta la new entry Varang, feroce leader del Popolo della cenere. “Ero scioccata nelle prime settimane. Non giravamo. Entravo in teatro e non facevo altro che allenarmi a usare arco e frecce, imparavo a muovere il Buugeng (un tipo di arma marziale a forma di S), cercavo di capire come la mia guerriera abita quel mondo”.  Sigourney Weaver, eroina regina della fantascienza, che è approdata su Pandora con le sembianze umane della dottoressa Grace Augustine, conferma. “Ho fatto molti spettacoli off-Broadway, dove avevamo a mala pena i soldi per una pantacalza nera e un palco vuoto. Amo Avatar: per un attore è libertà. Sei lì sul palco con i tuoi colleghi. Non hai nulla intorno che ti distragga, devi immaginare tutto, sentire profondamente e far uscire le emozioni. Ti prepari, certo, ma quando cominci, non hai nulla di fisso in mente. Devi solo giocare in uno spazio protetto. Solo così potevo accettare la follia di trasformarmi in una quindicenne”.

Aggiornato il 04 dicembre 2025 alle ore 16:47