Non uccidere l’arte ossia la vita

La storia ha sempre o comunque fondamentalmente unito l’economia all’arte. Gli uomini potevano combattere, collaborare, inventare nel terreno economico, ma poi finalizzare l’economia all’arte, in senso ampio alla cultura.

Perfino la divisione essenziale in economia, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, che è una divisione certamente economica, in realtà è una divisione culturale, poiché permette ad alcuni di dedicarsi essenzialmente all’arte e alla cultura, mentre il maggior numero provvedeva ai lavori fisici. Questa distinzione è, ripeto, di fondamento e dà luogo alle civiltà.

Nessuna civiltà del passato ha considerato l’economia se non strumentale all’arte e alla cultura. Il disprezzo degli antichi per chi faceva del denaro lo scopo della vita, era estremo, radicale. Tutti i filosofi greci disprezzavano chi fa denaro per avere denaro, ma anche i romani avevano la stessa visione e, incredibile, anche in epoca rinascimentale, che fu eminentemente e potentemente “economica”; perfino i grandi imprenditori, per definirli così, se facevano enormi fortune, avevano come scopo stringente pagare cifre babiloniche agli artisti per averne ritratti, statue, architetture o poemi. Si perveniva a disputarsi gli artisti in maniera bellica. E Pontefici, Cardinali, Parroci della mischia. 

Il capitalismo non alterò, almeno all’inizio, questa visione, ma nel tempo le cose cambiarono e l’economia si staccò dalla cultura e dall’arte. Noi oggi abbiamo creato un fossato. L’economia predomina in maniera volgare, intendo per volgare che ha quale scopo l’economia soltanto o dominativamente. E questo per gli antichi era uno scopo volgarissimo. Avevano persino inventato il mito del re Mida: “Ciò che tocca, oro diventa”, una dannazione vera e propria, il denaro che resta denaro, anzi trasforma tutto in denaro, non in arte e cultura.

Diremmo, con linguaggio odierno, che trasforma l’arte e la cultura in merce da vendere. Al punto di un capovolgimento: sono l’arte e cultura che si trasformano in denaro, non il denaro che fa scopo a sé stesso senza arte e cultura. La conclusione di tutto questo processo è la perdita della vita. Non il denaro per l’arte e la cultura ma l’arte e la cultura per vendere, ricondotte a merce. Fenomeno studiato, specie dai Francofortesi. Ma oggi in pieno effetto, abbassamento qualitativo e perfino accantonamento dell’arte.

Ma arte e cultura sono la vita, il sentire comunicativo espressivo della vita. È l’espressività che salva il sentire ossia la vita. Non esistono altri mezzi per salvare la vita al di là dell’esistenza che l’arte. L’uomo nel suo disperato tentativo di non morire sapendo di morire suscitò l’espressione del sentire e dà agli altri la vita che egli viveva. Se questo prodigio si involgarisce e vincono comunicazione e vendibilità non solo moriamo ma uccidiamo la vita.

Aggiornato il 18 novembre 2025 alle ore 09:52