La figura di Antonio De Curtis, Totò, il grande artista dalla straordinaria umanità, è ancora oggi – a quasi 60 anni dalla sua scomparsa – evocativa di un uomo che – avendo dato lustro al cinema, al teatro, alla poesia, forme d’arte evocatrici di sentimenti e di passioni universali – ha rappresentato uno dei più significativi “biglietti da visita” dell’Italia tutta all’estero, come terra culla di creatività, di genialità, di umanità generosa protesa alla solidarietà nei confronti dei meno fortunati. Totò impersonava mirabilmente e naturalmente tutto ciò, con una nobiltà che non gli derivava tanto dai blasoni acquisiti, quanto dalla ricchezza di un animo assai sensibile alle altrui sofferenze, cui sapeva sovvenire senza plateali ostentazioni, magari nel segreto di una banconota lasciata sotto la porta di un povero, affinché il beneficiario nel raccoglierla, non potesse neanche conoscere l’identità dell’ignoto benefattore. “Voglio pregare per Totò – disse il cardinale Crescenzio Sepe nel 2011 durante un’omelia ricordando lo scomparso – perché il Signore possa ricompensare la sua grande generosità, la carità che faceva di nascosto. Oggi vogliamo ricordare il principe come uomo, come persona che ci ha dato un grande insegnamento, non solo come artista. Su questo piano era inimitabile”.
La celeberrima poesia ‘A livella rappresenta una sintesi mirabile della sua profonda sensibilità morale e civile, della sua concezione altamente spirituale circa i valori autentici della vita, al di fuori di ogni fatua distinzione di ceto o economica. Totò è stato “istintivamente” un apostolo laico dei valori evangelici da vivere nel quotidiano al di fuori di ogni farisaica e fatua ostentazione. Quello dell’amore assoluto verso il prossimo, è l’aspetto meno conosciuto del grande artista, noto ai più come il “Principe della risata”, la quale definizione non è peraltro esaustiva della poliedricità del suo talento, che gli consentiva di recitare “a braccio” e di passare con naturale disinvoltura dall’interpretazione di ruoli comici, a quella di ruoli drammatici, con pari efficacia e maestria. Totò era nel privato un uomo assai austero, il che poteva incutere soggezione o comunque sorprendere l’ospite, che pensava di trovarsi innanzi al personaggio burlesco caratteristico della maggior parte dei film da lui interpretati. Anche quello delle scene “amene” non era comunque un altro Totò: era sempre lui, in una costante Concordia discors, che trovava la sintesi esteriore nella dignità del sorriso, della smorfia, dello sberleffo, con cui sapeva esorcizzare gli oltraggi del Destino, come cogliere il lato comico nelle avversità della vita.
La trascorsa povertà, le sofferenze sopraggiunte della malattia, il tormento e l’estasi di amori struggenti e tempestosi, non lo fecero mai ripiegare nella sconfitta della tristezza, ma lo indirizzarono a sublimare le amarezze nella dimensione più alta della gioia di rendersi tramite di Provvidenza, verso quanti non avevano lacrime per piangere. Lo agevolava, in questa forma di filosofia della vita, il fatalistico ottimismo della natia Napoli, città essa stessa simbiosi di solarità ridanciana e di melanconia struggente, di chiari e di scuri, di Miseria e nobiltà, per riprendere il titolo di uno dei film più famosi del principe Antonio de Curtis. Un suo illustre conterraneo, il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, principe del foro e di umanità, sosteneva che la vita fosse una faccenda grave, ma da temperare con un sorriso: “A me sorridere piace”, diceva. “C’è chi ha detto che la differenza fra l’uomo e l’animale è proprio questa: l’uomo sorride, l’animale no. A me, l’uomo che non sorride fa tremenda paura. La tragedia è che in Italia, dell’autorità, del potere, della cultura, si ha un’idea tetra, togata, luttuosa, con la mutria. Scherzerei di più – confidò a un interlocutore – se non me lo sconsigliassero. In Italia un uomo politico che sorride, è guardato con sospetto”.
Il tenere viva la memoria del grande artista, ci aiuta a recuperare il senso della vita, al cui riguardo ci tornano in mente le parole pronunciate da Papa Francesco durante il suo primo viaggio, effettuato l’8 luglio 2013 nell’isola di Lampedusa, per parlare di quella “globalizzazione dell’indifferenza”, che l’avrebbe portato nel corso degli anni, a denunciarla in numerose occasioni. “La cultura del benessere – affermò in quella circostanza – che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”. L’Associazione Amici di Totò, custode e promotrice dei suoi valori, consente grazie all’abnegazione dell’avvocato Alberto De Marco e di tutti gli appartenenti al benemerito sodalizio, di far sì che continui a vivere lo spirito generoso che costantemente ispirò il passaggio terreno del principe Antonio de Curtis, volto a regalare un sorriso di speranza a quanti non hanno mai avuto ragioni di ridere spensieratamente nel corso della loro esistenza. La sua opera trascende la finitezza della vita esemplarmente vissuta, proiettandola nella dimensione dell’Eterno, costituendo altresì un testamento spirituale per le presenti e le future generazioni.
(*) Consigliere della Presidenza della Repubblica a riposo
Aggiornato il 07 novembre 2025 alle ore 11:25
