Com’è il volto del disonore? Tridimensionale di sicuro, con il profilo del curioso generalista e indifferenziato, che mette il naso in una sciagura familiare “di quelle... sapete? che lasciano la porta aperta, così che ogni estraneo possa introdursi a curiosare”. A che cosa si riferisce in questo conciso dialogo la madre Maddalena Renni della figlia Agata, ingravidata da un nobile assai poco interruptus, tradito e separato da una moglie fedifraga? Ma è chiaro: alla mancanza di un marito legalissimo da esibire prima della nascita (presumibilmente prematura) della creatura innocente! Da qui parte e si irradia in tutta la sua pirandelliana drammaticità e dissacrante ironia la commedia Il piacere dell’onestà, in scena al Teatro Quirino fino al 9 novembre, per la compagnia Abc e la regia di Giampaolo Romania. Protagonista assoluto, un vero doppio pirandelliano, è Pippo Pattavina, davvero perfetto nel ruolo di Angelo Baldovino, il “cappello” (maritale) che soffoca sul nascere il temutissimo e intollerabile scandalo borghese. Lo stesso dicasi per gli altri attori del cast, con particolare riferimento ai ruoli della madre, del Marchese Fabio Colli, di Maurizio Setti cugino del Marchese e sensale della transazione “un marito (di comodo) per Agata”. Così una madre in ambasce confessa all’amico Setti “Io ho condisceso troppo, capisco. Ma fidavo... fidavo che Fabio fosse più prudente...”.
Il che la dice lunga sull’ipocrisia sistemica che governa questa triste storia di amanti imprudenti, e delle connivenze familiari, tese come una rete di salvataggio per l’equilibrista ingravidata che cammina sulla corda sospesa tra i due cigli del precipizio. Così, anche qui, la vittima Agata ha donato tutta se stessa a consolare un uomo “maltrattato, amareggiato, offeso iniquamente da un’altra donna” e che invece “meriterebbe tutto l’amore” che lei sola poteva dargli. Tesi (dimostrata affermativamente nel finale): ma, Agata è una persona “onesta”? Ed è sempre Maddalena, rivolgendosi a Setti, l’amico di famiglia, a chiarire come si è arrivati a quel punto: “Non potete comprendere che strazio sia per una madre vedere la propria figliuola avanzarsi negli anni, cominciare a perdere il primo fiore della giovinezza – non si ha più il coraggio di usare quel rigore che la prudenza consiglia... dico di più, che l’onestà comanda per non concederla apertamente fingiamo di non accorgerci di nulla”. Su questa virtù dell’onestà, rara e ostica da perseguire, si innesta l’incastro della vita dostoevskiana di un giocatore di carte indebitato, il prescelto marito di comodo, Angelo Baldovino, al quale nessuno vuole fare più credito, delegittimando così la sua firma onorata. E proprio lì, nell’onta di quella delegittimazione, sta la sottile vendetta del piacere dell’onestà, che il marito a copertura, per contratto non scritto, imporrà alla sua vita coniugale e alla gestione di una piccola società d’affari, aperta dal Marchese per offrire al suo rivale di fatto un lavoro da contabile per la gestione dei bilanci.
Fin dall’inizio, tale attività è stata concepita dal furbo e disinibito Marchese come un’ingegnosa macchina del fango, per disonorare e mettere fuori Angelo dalla casa delle due donne al momento più opportuno, con l’accusa infamante di aver rubato dalla cassa societaria, in modo che sia quasi lecito tornare a fare l’amante di una donna separata, ma non disonorata. Strategia infame quanto ingenua sì, perché l’onestà a tutti i costi aguzza vista e ingegno, per non cadere nelle trappole tese dagli stupidi disonesti. Ma chi è Baldovino? Uno che conosce Descartes e la filosofia e che vive fuori della regolarità della vita dei più, motivo per cui quella proposta indecente del Setti trovò facile accoglienza nella mente complessa del futuro marito (per necessità di lei). Perché di lui si poteva dire che “studiò sempre quel che gli piacque, quel che poteva servirgli meno”. E qui Pirandello traccia con queste parole un memorabile profilo del galantuomo, costretto nel rigido corsetto del suo carattere a rimanere tale, a costo di immolarsi sul rogo del disprezzo. Del resto, come dare torto al Setti, voce narrante secondaria, di aver scelto per l’imbarazzante bisogna un uomo di merito, che giustificasse agli occhi della gente la scelta di Agata per una persona non più giovane? Tutte astuzie e accortezze sociali, ipocrite quanto essenziali, per tacitare la bulimia da scandali dei curiosi di strada.
Così Baldovino si costruisce la sua figura di prestanome coniugale, presentandosi in una forma adatta alla relazione da contrarre con il Marchese Fabio. E sarà proprio questa diritta via a pretendere il più alto tributo per l’onestà, per il rispetto assoluto che Angelo attesterà verso quella famiglia e la sua moglie vera-finta, nonché del nascituro al quale darà il nome. Per la morale e la giustizia, sarà proprio questa indefettibile caratura morale del marito legale a far segretamente innamorare Agata di quel suo strano uomo, che dice sempre cose giuste, per cui sarà lei nel finale, con una decisione ferma e sicura, a chiudere fuori dalla sua casa tutta la coorte dell’amante e dei suoi amici infidi e poco affidabili, per godersi quella strana relazione di coppia, nata con gli intenti dell’imbroglio e terminata con l’amore vero. Spettacolo imperdibile.
Aggiornato il 03 novembre 2025 alle ore 13:57
