“Chi è stato Gabriele D’Annunzio? Facciamo meglio a chiederci chi non è stato. È il minimo che si può dire di un personaggio che è stato scrittore e poeta significativo della nostra letteratura, ricercatore letterario e storico, docente, giornalista, combattente della Grande guerra (vedi le mitiche imprese della Beffa di Buccari e del volo su Vienna, febbraio e marzo 1918), rivoluzionario nazionalista con l’impresa di Fiume, e anche sportivo praticante. Come politico (pur non avendone la mentalità), il Vate fu deputato inizialmente della Destra storica: passando poi temporaneamente, nel 1900, tra le file socialiste, in segno di protesta contro la sanguinosa repressione dei moti di Milano del maggio 1898 e i progetti di legge del nuovo Governo di Luigi Pelloux, limitanti i diritti civili e politici. In seguito, è noto il suo altalenante, scivolante nell’ambiguo, rapporto con Benito Mussolini (non a caso, il futuro Duce, durante l’impresa di Fiume, preferì star prudentemente “alla finestra”, capendo che non era ancora giunto il suo momento)”.

Alla Sala del Senato dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro, in piazza Capranica, si è espresso così Giorgio Frassetto, nipote di Riccardo, ufficiale dei Granatieri di Sardegna molto vicino a D’Annunzio nell’impresa fiumana, che ha aperto la commemorazione del poliedrico personaggio abruzzese, in questi giorni densi di importanti anniversari. “Proprio il 26 ottobre 1954, 71 anni fa”, ha ricordato Roberto Menia, vicepresidente della III Commissione Affari esteri e Difesa del Senato, “Trieste veniva liberata e restituita all’Italia per la seconda volta; mentre il 10 novembre prossimo, saranno 50 anni esatti dalla firma dello sciagurato Trattato di Osimo, con cui l’Italia rinunciava definitivamente alla “zona B”, importante area istriana, cedendola alla Jugoslavia titoista”. E il 24 dicembre, aggiungiamo, saranno 105 anni dallo scontro fratricida del “Natale di sangue” 1920. “Molte decine di morti, anche civili, ma nessuno sloveno o croato, negli scontri, del 24-29 dicembre, tra legionari della Reggenza italiana del Carnaro e Regio Esercito”, ha precisato lo storico Marino Micich, direttore dell’Archivio-Museo storico di Fiume al quartiere giuliano-dalmata di Roma.
“Fiume non rappresentò – come a lungo ritenuto da una storiografia ideologizzata e prevenuta – un’avventura reazionaria, ma un’impresa direttamente richiamantesi al Risorgimento, soprattutto a quelle garibaldine. Per la liberazione di questa città: che gli alleati avevano già deciso di assegnare al nuovo Stato jugoslavo. A gennaio 1924, dopo gli scontri fratricidi e la parentesi dello Stato libero di Fiume (1921-’22), guidato dal leader autonomista Riccardo Zanella, il Trattato di Roma avrebbe temporaneamente restituito la città all’Italia. In ultimo, dopo la Seconda guerra mondiale e i massacri delle foibe (con circa 2.500 fiumani morti), Fiume, da cui partirono circa 3.800 esuli, sarebbe stata annessa dalla Jugoslavia di Josip Broz Tito. Nel 1966, infine sarebbe nato il “Libero Comune di Fiume in esilio”. Dettagliatamente, Giorgio Frassetto si è soffermato poi sui tanti risvolti, anche inaspettati e rocamboleschi, delle “opere e giorni” dannunziani. La passione per l’esoterismo e il paranormale, l’amicizia con Guglielmo Marconi (di cui erano presenti in sala la figlia Elettra, col figlio Guglielmo Giovanelli Marconi).
Elettra Marconi ha ricordato la visita del padre al Vate a Fiume nell’autunno 1920, su incarico del Governo italiano, per tentare una possibile mediazione con i dannunziani. La travolgente passione dannunziana per le donne (circa 500, ha quantificato scherzosamente Frassetto: da far invidia ad Humphrey Bogart), e l’altra per il lusso e l’eleganza, quasi da moderno Petronio arbitro. E la netta avversione ad Adolf Hitler, da lui definito con gli epiteti più coloriti, da “Pagliaccio feroce” ad “Attila imbianchino”. Presente in sala, un pubblico di tutto rispetto. Tra gli altri, Silvano Olmi, presidente del “Comitato 10 febbraio”; Simonetta De Ambris, pronipote di Alceste, il sindacalista rivoluzionario, ardente mazziniano, morto poi da antifascista in Francia nel 1934, che nel 1920 era stato capo di Gabinetto di D’Annunzio a Fiume, elaborandone poi la Costituzione, la storica “Carta del Carnaro”; Abdon Panic, fiumano, maratoneta medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Roma del 1960 e d’oro a quelle di Tokyo del 1964, e Sandro Cossetto, parente di Norma, la giovane istriana vittima (ottobre 1943) delle foibe, divenuta simbolo dei massacri titoisti. Pietro Sia, docente universitario e scrittore, intagliatore di legno per passione, ha donato a Frassetto una copia in legno dello storico stemma dei Granatieri di Sardegna: da destinare, poi, al Museo-Archivio storico di Fiume.
Aggiornato il 03 novembre 2025 alle ore 17:22
