Nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975, sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, il corpo martoriato di Pier Paolo Pasolini veniva scoperto, lasciando un’Italia attonita a confrontarsi con la perdita di una delle sue menti più lucide e controverse. A cinquant’anni da quel brutale assassinio, la ricerca dei mandanti occulti continua a gettare un’ombra sulla storia del Paese, ma è l’eredità del suo pensiero, eretico e profetico, a risuonare con una forza ancora più dirompente.
Pasolini non era un eretico perché omosessuale in un’Italia bigotta, né perché si opponeva al capitalismo sfrenato. La sua eresia risiedeva nella sua irriducibile libertà intellettuale, nella sua capacità di vedere oltre le apparenze e di denunciare con disarmante lucidità le contraddizioni di una nazione in piena e caotica trasformazione. Oggi, il suo pensiero critico ci aiuta a non banalizzare il mondo, offrendoci una visione differente e ancora tremendamente efficace.
UN DELITTO OLTRE LA VERITÀ GIUDIZIARIA
La versione ufficiale, che per anni ha addossato la colpa unicamente al diciassettenne Pino Pelosi, “ragazzo di vita” incontrato poche ore prima, non ha mai convinto del tutto. Lo stesso Pelosi, dopo anni di carcere, ritrattò, parlando di un agguato, di altre persone presenti sulla scena del crimine. La sentenza di primo grado, pur condannando il giovane, parlava di “omicidio in concorso con ignoti”, un dettaglio significativo poi annacquato nei successivi gradi di giudizio.
Le piste mai completamente esplorate sono molteplici e si intrecciano con i misteri più fitti dell’Italia di quegli anni. C’è chi collega la sua morte alle inchieste che stava conducendo per il suo romanzo incompiuto, Petrolio, in cui si addentrava nei meandri oscuri del potere, tra servizi segreti, la Loggia P2 e l’omicidio di Enrico Mattei.
Altri la legano alle sue coraggiose denunce pubbliche, come il celebre articolo “Io so” sul Corriere della Sera, in cui accusava senza mezzi termini la classe politica di essere a conoscenza dei mandanti delle stragi che insanguinavano il Paese.
L’omicidio di Pasolini non fu probabilmente solo un’aggressione omofoba o una lite degenerata. Fu, con ogni probabilità, una esecuzione. Un atto premeditato per zittire una voce troppo scomoda, un intellettuale che, con la sua sola esistenza, metteva in crisi le fondamenta etiche e politiche di un’intera società.
UN’ITALIA VIOLENTA E BIGOTTA: IL CONTESTO DEGLI ANNI DI PIOMBO
Per comprendere perché Pasolini dovesse essere eliminato, è necessario immergersi nel clima rovente dell’Italia degli anni ‘70. Erano gli Anni di piombo, un periodo segnato da profonde tensioni sociali e politiche, terrorismo nero e rosso, stragi di stato e tentativi di golpe. La società italiana, pur attraversando una fase di modernizzazione e di conquista di diritti civili come il divorzio, rimaneva profondamente conservatrice.
In questo scenario, Pasolini rappresentava un’anomalia inaccettabile. Comunista critico verso il Pci, cattolico in rotta con la Chiesa, omosessuale dichiarato che trasformava la sua “diversità” in un punto di osservazione privilegiato per raccontare gli ultimi, i sottoproletari delle borgate romane.
La sua lucidità nel denunciare l’ipocrisia del potere, la sua critica feroce alla nascente società dei consumi e all’omologazione culturale che ne derivava, lo rendevano un nemico per molti.
LA CRITICA ALLA SOCIETÀ DEI CONSUMI
Pasolini fu tra i primi a intuire e a denunciare la “mutazione antropologica” indotta dal consumismo. Un nuovo potere, più totalitario e pervasivo di qualsiasi dittatura, che non si limitava a reprimere, ma cambiava la natura stessa delle persone, omologando desideri, linguaggi e culture. Vedeva nella televisione lo strumento principale di questa omologazione, una critica che oggi si estende con impressionante attualità al mondo dei social media e della rete.
LA DIFESA DELLE CULTURE SUBALTERNE
Il suo amore per il mondo contadino e sottoproletario non era nostalgia, ma la consapevolezza che in quelle culture, destinate a scomparire, risiedeva un’autenticità e una sacralità che la modernità stava cancellando. Ha dato voce agli “ultimi”, mostrando la loro disperata vitalità e la loro dignità.
UN PENSIERO IN MOVIMENTO
Poeta, regista, scrittore, saggista, Pasolini ha utilizzato ogni mezzo espressivo per manifestare il suo pensiero complesso e spesso contraddittorio. La sua eredità è un monito contro la specializzazione del sapere, un invito a essere intellettuali a tutto tondo, capaci di leggere la realtà nella sua complessità.
DIFENDERE LA MEMORIA: UN ATTO DI RESISTENZA CULTURALE
Ricordare Pier Paolo Pasolini oggi non è un mero esercizio di commemorazione. Significa riappropriarsi del suo sguardo critico per interpretare il nostro presente. Significa difendere il diritto al dissenso, il valore della complessità contro la banalizzazione del pensiero unico.
La sua eresia, moderna ed efficace, ci insegna a guardare le periferie, non solo geografiche ma esistenziali, a mettere in discussione il modello di “sviluppo” che ci viene imposto, a non temere di essere “contro”. In un mondo che tende a silenziare le voci scomode, l’eredità di Pasolini è un atto di resistenza. È la lucida, disperata consapevolezza che, come scrisse lui stesso in una delle sue ultime interviste, “siamo tutti in pericolo”. Un pericolo che non è solo fisico, ma è soprattutto la minaccia di perdere la nostra umanità e la nostra capacità di pensare liberamente.
La sua memoria è un antidoto, prezioso e necessario.
Aggiornato il 03 novembre 2025 alle ore 15:46
