Crossing Istanbul del regista Levan Akin è un bel film. Di nicchia, ma bello. Il ritmo del film è coinvolgente e perfetto. É denso. È la storia di una zia lla ricerca della nipote, transessuale georgiana, ad Istanbul, come da espresso desiderio della mamma sul letto di morte. Scacciata dal padre, ignorata dalla madre, così come dalla zia, la ragazza, ormai ventottenne, arriva a Istanbul “dove si viene per scomparire”. C’è tanto affetto che straborda in Crossing Istanbul. In questa zia insegnante di storia in pensione, che viene accompagnata dal giovane fratellastro di un suo alunno zoticone. Il regista si concentra sull’amarezza della zia, un’amarezza mista a rimprovero verso sé stessa e la sorella, che va elaborando durante la ricerca tra bordelli e situazioni disperanti turche, tra i transessuali che si prostituiscono per le strade.
In Turchia è tuttora vietato il transessualismo, punito con pene severe. La zia racconta come un ragazzo transessuale in Georgia, suo vicino di casa, fosse stato ammazzato dal suo stesso padre cacciatore. Il sentimento della vergogna permea tuttora l’intera società di quei Paesi (Turchia e Georgia). La libertà che il regista ha respirato e in cui è cresciuto in Svezia gli ha dato l’agio di potere differentemente imbracciare la cinepresa a favore dei nostri Paesi civili occidentali e farci mostra della libertà. Libertà di essere, di potere essere. La nostra migliore civiltà occidentale. Amarezza e rimprovero di cuori orientali, disperazione e morte orientali lasciano infatti il passo all’empatia, alla comprensione e alle libertà occidentali. I nostri valori comuni occidentali fondanti.
Aggiornato il 28 ottobre 2025 alle ore 12:21
