Visioni. “Enzo”, il capolavoro umanista di Robin Campillo

Un film carico di commossa lucidità sulla straziante necessità di trovare una dimensione nel mondo contemporaneo. Enzo, film di Robin Campillo, ideato da Laurent Cantet, regista premiato con la Palma d’oro a Cannes nel 2008, per La classe (Entre les murs), scomparso nell’aprile 2024, dopo una lunga e dolorosa malattia, è una storia di formazione e di iniziazione sentimentale. Il lungometraggio, prossimamente in streaming su Prime Video, racconta la storia di Enzo (il convincente Eloy Pohu), un sedicenne che vive, insieme alla famiglia altoborghese, in una lussuosa villa sul mare, a La Ciotat, nel Sud della Francia. Il ragazzo è cresciuto nel benessere, tra la competizione con il fratello maggiore Victor (un altero Nathan Japy) e le aspettative pressanti dei genitori: il padre Paolo (il superbo Pierfrancesco Favino), professore universitario italiano, e la madre Marion (una luminosa Élodie Bouchez), ingegnera. Enzo, che può vantare un’innata sensibilità artistica e umana, disegna in maniera esemplare, ama la musica, ma non coltiva alcuna vera passione verso cui dedicare il proprio interesse. Per queste ragioni, cerca di fuggire dall’ambiente confortevole ma soffocante della famiglia, spinto dal desiderio di sentirsi utile.

Percependosi indifeso, decide di lasciare la scuola e iniziare a lavorare come muratore in un cantiere edile. Questa scelta appare incomprensibile agli occhi dei genitori. In particolare del padre, artefice di un confronto impietoso tra Enzo e il fratello Victor, uno studente modello che ambisce a frequentare uno degli atenei più importanti di Parigi. Enzo, che non condivide l’ipocrisia della propria famiglia, decide di isolarsi. Il ragazzo, nel luogo di lavoro si invaghisce di un collega più grande, l’ucraino Vlad (un convincente Maksym Slivins’kyj), rifugiato in Francia a causa della guerra. Lontano dal futuro radioso che la famiglia ha immaginato per lui, cercando sé stesso tra desideri e dissidi, Enzo trova, nella fatica del lavoro manuale e nell’umanità dei colleghi, una nuova prospettiva di vita.

Laurent Cantet, uno degli autori più lucidi degli ultimi decenni, ha raccontato la trasformazione dei rapporti di classe, la confusione degli esseri umani, costretti a vivere in una società che pretende le definizioni, i ruoli prestabiliti, i percorsi chiari e inequivocabili. Evitando gli schemi ideologici novecenteschi, il cinema di Cantet mette in scena l’inquietudine contemporanea. Pone quesiti e solleva dubbi, ma non fornisce risposte. Per questi motivi, come in Risorse umane (Ressources humaines), L’atelier, La classe e Foxfire, i protagonisti dei suoi film sono prevalentemente adolescenti o giovani all’inizio del loro percorso di formazione. In fase di realizzazione, l’amico di sempre di Cantet, Robin Campillo, già autore dell’insolito Quelli che ritornano (Les Revenants) e del superlativo 120 battiti al minuto (120 battements par minute), montatore e co-sceneggiatore abituale, ha accettato, con la collaborazione di Gilles Marchand, l’arduo compito di portare a termine il nuovo progetto, consapevole della necessità di sovrapporre il proprio sguardo alla visione di Cantet. D’altronde, con grande umiltà, Campillo ha ammesso di avere seguito i dettami del grande regista, con rigore filologico. Un fatto è certo: la coerenza narrativa dell’idea iniziale è perfettamente messa in scena. Enzo, film d’ambientazione operaia e proletaria, concepito da Cantet e girato da Campillo, racconta una nuova esistenza fondata su sentimenti primordiali: amore, amicizia e senso autentico di appartenenza.

Un capolavoro umanista che delinea la trasformazione di un contesto che richiede, necessariamente, la definizione del profilo e un’idea che qualifichi il futuro. Enzo è un melodramma, privo di scene madri, che racconta, con un tono realistico e alcuni accenni lirici tipicamente francesi, una storia sul disagio giovanile. È una narrazione che pone in primo piano i conflitti privati e internazionali, generazionali e familiari, inquadrandoli e sviscerandoli. Non a caso, il sottotesto è dedicato alla guerra russo-ucraina. La storia di Enzo, il cui esito felice è il frutto di due talenti diversi, è girato a La Ciotat, città portuale della Francia meridionale, dove Cantet aveva già ambientato L’atelier, altro ritratto di un adolescente ribelle. Perché le difficoltà degli adolescenti si somigliano. Nonostante il mutamento del quadro. Il cinema ha sempre provato grande attrazione per le storie dei ragazzi angosciati. Forse perché quel momento della vita di ciascuno è decisivo. Per questi motivi, Campillo, montatore di sei film di Cantet, decide, con l’approvazione dell’amico cineasta, di portare avanti l’opera dedicata a un giovane tormentato. La storia, di per sé, non è una novità assoluta. Ma è del tutto inedito il desiderio di un ritorno alla manualità manifestato dall’inquieto Enzo.

Aggiornato il 24 ottobre 2025 alle ore 18:40