
Il sottotitolo di Bisbigli e sbadigli. Pensieri in rime, di Luca Bugada, evidenzia già un’attitudine alla controtendenza, sia perché le poesie che compongono la silloge sono in rima, in un’epoca in cui questa è ormai da tempo ostracizzata, sia perché fingono di assomigliare anche a delle filastrocche, rivalutandone così implicitamente la dignità letteraria dopo molti lustri di quasi irridente svalutazione.
Eppure, nonostante le apparenze, le filastrocche vanno a loro modo oggi di moda. Se ne possono infatti trovare di piuttosto brutte a iosa: basta cercarle per esempio in tante canzoncine rap, dove rime scontate o forzate sono accompagnate da basi musicali compulsive e da una gestualità che rivela per lo più il desiderio di partecipare a rituali di tipo non meno ossessivo. Vi si combinano di solito stati d’animo che vanno da un’ansia velleitaria di liberazione a una certa aggressiva insofferenza verso il tipo di società che si vorrebbe tuttavia circuire. In genere questo tipo di composizioni si salvano solo quando sanno far trapelare tra le righe una certa autoironia in grado di fare da contrappunto al ribellismo serioso dei principi che sovente enunciano ammiccando ai rispettivi target di stereotipati ascoltatori virtuali.
Sebbene sembrino talora camuffate da filastrocche, le poesie di Luca Bugada, a un tempo critico letterario e studioso di Seneca, di eresie e di Lutero, non hanno però nulla a che fare con questa dimensione rap, sia per i contenuti, che nel suo caso sono esenti da qualsiasi anche vaga forma di risentimento, sia sotto il profilo formale, perché esse rappresentano piuttosto dei divertissement del pensiero, delle vacanze ludiche nel quotidiano, dei momenti di raccoglimento che hanno saputo scaricare in una valle di rime il loro peso di serietà per accedere a una dimensione, appunto, divertita dalla vita. In pratica, nessuna angoscia buttata in piazza, nessuna lacerazione ostentata, nessuna arrampicata sugli specchi di costruzioni formali autoreferenziali. In questa sua prima silloge poetica, Bugada sublima piuttosto la sua vocazione poetica abbandonandosi al gusto di rivestire di leggerezza anche i pensieri e gli stati d’animo più seri.
Come si legge infatti nell’introduzione dell’autore, il libro nasce nell’agosto del 2023 in seguito a “un impulso, quasi una necessità fisica, di dare forma e colore a parole e pensieri, a lungo celati gelosamente nell’intimo più profondo”, per “gioire e disperare, annegare nella malinconia e nell’amarezza, tornare a nuova vita, contemplando la sapienza creatrice, la ricchezza dell’amicizia, il calore degli affetti più cari”, quasi per fermarsi a respirare, “a gustare con occhi da infante un orizzonte da tracciare, da decifrare, avendo per compagna di viaggio la fioca luce del crepuscolo.”.
Così, per esempio, nella poesia d’apertura: Memoria.
Lungo la memoria dei defunti / s’incamminano i vivi. / Un viaggio a ritroso, / un destino scontroso. / L’orizzonte è alle spalle, / le stelle son spente. / Si cade e s’inciampa, / morendo a ogni istante.
La dimensione dell’inciampo nella memoria e nel trascorrere dei giorni ricorre nei versi di Bugada come un talismano offerto in dono, e si fa simbolo, occasione per riconoscersi nella presenza muta delle cose, dove l’orizzonte del futuro e quello del passato si salutano ad ogni crocevia, in ogni raggio di luce che si depone arcano su ogni pietra immota. Così, per esempio, in Riflesso, la pura roccia, / spoglia e scarna, offre se stessa / allo sguardo lucustre. / Il nudo riflesso / acuisce la sete, / si burla dell’arido monte / e ne turba la quiete.
Poiché la confidenza con i diversi aspetti di una vita non omologata, costituita da presenze e affetti senza tempo, è diffusa in ogni componimento, può anche capitare, come in Ombra, che ogni cosa domestica, ogni vociare di animali familiari diventi significativa e luminosa, monito simbolico d’un ombra che incombe nel nostro metaforico pollaio sociale e indaffarato trascorrere dei giorni:
Un vociare allegro / di ruspanti pennuti, / un marciare fiero / nella medesima aia. / Ieri, oggi e domani / a becchettar briciole / da quei raffermi pani. / Scruta e attende, / l’istante propizio, / il grande rapace. / Un’ombra tocca terra, /or tutto tace.
Mentre processioni di fiori e di santi scandiscono i ricordi e gli zaini colorati, al suono della prima campanella scolastica, sembrano intenti a risvegliarci da inconfessabili umori; mentre ci buttiamo a perdifiato lungo le discese ardite e le risalite in cui ama smarrirsi il pensiero, noi giochiamo ad imparare dalle sfide della vita, che sono pressoché infinite. Come scoiattoli saltellanti o cinghiali che rovistano al tramonto tra le cose più care, cerchiamo di prendere possesso dei nostri più intimi cunicoli e rioni.
In questi pensieri baciati da rime e assonanze lievi Bugada si cimenta così a suo modo nell’arte sottile di ritrovare il tempo perduto, le vite intermittenti che ci hanno attraversato e ancora ci percorrono a ritroso, verso un futuro ignoto. Alla fine, ciò che rimane oltre alla brezza leggera che ci sfiora nella lettura, sollevando nuvole che portano con sé echi diversi di figure care e nostalgie, è una sorta di suggerimento celato in un’implicita domanda premonitrice: non sarà proprio nello sguardo del bimbo pensante che siamo stati, e che ci è sopravvissuto proprio nella voglia di giocare con le rime, che si può imparare a disimparare assaporando con lui un antico stupore, il tempo di un riposo e il senso del cammino, l’orizzonte liquido, privo di confini, del proprio destino di solitudine?
(*) Luca Bugada, Bisbigli e sbadigli. Pensieri in rima. CSFI editore, Pomezia, 2025.
Aggiornato il 20 ottobre 2025 alle ore 15:14