“La voce di Hind Rajab”: il dramma in diretta

Ramallah: coordinamento soccorsi della Mezzaluna rossa. Uno zio che chiama alla ricerca disperata di un segno di vita della sua famiglia, di cui non ha più notizie mentre erano in viaggio nella zona di Gaza, in quel 29 gennaio 2024 in cui l’esercito israeliano ha iniziato le sue operazioni militari nella Striscia. La storia ha inizio quando gli operatori del centralino del braccio palestinese della Mezzaluna rossa, a Ramallah, ricevono la telefonata di Liyan Hamada, una quindicenne di Gaza intrappolata in macchina assieme alla cuginetta Hind Rajab, dopo che un carro armato israeliano ha sparato al veicolo, uccidendone i genitori e i tre fratelli. Quando anche Liyan viene uccisa dal fuoco continuato proveniente dal carro armato, è Hind, una bambina di cinque anni, a prenderne il posto, ferita alla schiena e alle gambe. Ed è lei la protagonista del film La voce di Hind Rajab (nelle sale italiane da domani), per la regia di di Kaouther Ben Hania. I suoi tracciati vocali, riprodotti così come sono stati registrati dal centro di ascolto, risuonano come un Giudizio di Dio attraverso la sua voce terrorizzata e disperata che, per tutto il suo tempo di vita che le resta, risponde alle chiamate dei soccorritori, troppo distanti e dolorosamente impotenti per raccogliere il suo grido lancinante “vienimi a prendere, portami via di qui!”, mentre si dissangua all’interno dell’autovettura crivellata di proiettili.

Disperati quasi quanto lei, gli operatori in remoto tentano in tutti i modi possibili di inviarle i soccorsi, insistendo con i colleghi della Croce rossa e con il Ministero della Sanità palestinese, per ottenere preventivamente un corridoio sicuro, lungo il quale far transitare l’ambulanza. Il film-verità (che più vero non può essere) ha un tracciato semplice, diretto e drammatico: le registrazioni vocali tra gli operatori del centro e la piccola intrappolata dietro il sedile posteriore, coperta dal suo sangue e da quello dei propri parenti. Hind, anche se potesse, non potrebbe uscire dall’abitacolo, perché i reparti militari e i carri armati (descritti dalla piccola sempre più vicini e minacciosi) non si sono ritirati dalla zona delle operazioni e, a quanto pare, sparano a vista su tutto ciò che ancora si muove. Così, accanto alle voci entra in scena il vero ospite occulto e il più sgradevole di tutti: Sua Maestà l’Assurdo. Perché se è vero, come sostiene il coordinatore responsabile del centro, Mahdi (Amir Hulayhil) che i militari attraverso i visori a infrarosso sanno benissimo che l’unica sopravvissuta è la bambina, continuano a giocare alla guerra contro l’essere umano più indifeso che esista. Ed è questo aspetto disumanizzante, in cui chi assiste da spettatore all’esterno non può darsi ragione. E lo stesso vale per chi, come l’esperto operatore Omar (Mu’tazz Milhis), da un certo punto in poi di questa surreale e penosa vicenda dei soccorsi, rompe il patto con i propri obblighi deontologici e professionali, perdendo il self control in quella situazione di totale stallo, per divenire furibondo come un padre ferito a morte per la sorte del figlio.

Per le tre lunghissime e interminabili ore di conversazioni, più volte interrotte e poi riprese, fondamentale è stato il ruolo delle due donne del centro, con la bellissima e dolcissima Rana (Saja al-Kilani) che rinuncia alla sua fine turno, per occuparsi in toto della piccola, mentre cerca di tenerla vigile raccontandole fiabe e pregando con lei.

Rana, che deve poi essere sostituita, al culmine della sua irrefrenabile crisi di pianto, dalla bravissima assistente psicologa, Nisrin (Clara Khuri), che fa ricorso ai toni caldi, calmi e affettivamente partecipi, per dare conforto a Hind e aiutarla a vivere fino all’arrivo dei soccorsi. Le scene al centro della Mezzaluna rossa palestinese si fanno sempre più dirompenti, con Omar che si scatena come un qualunque Black bloc, strappando telefoni e computer che ostinatamente non rispondono, o danno risposte evasive, del tipo “stiamo vedendo; stiamo parlando”. Finché, il tanto agognato percorso sicuro arriva e Mahdi dà disposizione agli operatori, seguendo sulle mappe satellitari il tragitto che, però, guarda caso, non può snodarsi lungo il percorso autorizzato, perché alcune strade ed edifici sono stati distrutti durante l’attacco israeliano. Così, malgrado il mezzo sia giunto a un passo dalla bambina, all’improvviso le comunicazioni si interrompono del tutto, per mai riprendere. Al ritiro dell’esercito, l’immagine documentale di quel che rimane dell’ambulanza e dell’autovettura sono più che terribili: nessuno ha avuto scampo. Una cosa manca nel film, ed è della massima importanza: qual è, se c’è mai stata, la risposta dei comandi israeliani? Perché tante persone innocenti hanno perduto la vita pur essendo disarmate? Ecco, magari vorremmo tutti saperlo.

Voto: 8,5/10

Aggiornato il 24 settembre 2025 alle ore 12:27