
La lunghissima storia della sontuosa residenza di campagna dei signori Crowley di Downton Abbey, nome del magnifico maniero inglese (Abbey significa “abbazia” in inglese ma appare più come un vero e proprio castello) a poca distanza da Londra, si è conclusa con Downton Abbey: il gran finale, film oggi nei cinema. È il seguito di serie tivù Sky di grande successo, seguitissima dal pubblico affezionato, con sei stagioni all’attivo, ciascuna con decine di episodi. È narrata la storia del castello e delle persone (nobili e servitù) che lo popolano. L’obiettivo del proprietario di Downton Abbey è mantenerne la proprietà, custodirla e tramandarla in famiglia, per generazioni. Più volte in pericolo, lo “scettro” della proprietà e della gestione è tenuto in mano, con alterne vicende, dal signor Crowley “custode regnante” che lo ha a sua volta ereditato. È una vera e propria saga che, al di là della lunghissima trama, “mette sul piatto” (d’argento, infiniti i piatti d’argento smaglianti e a dir poco favolosi) i molteplici risvolti e aspetti delle vite dei suoi abitanti. Gli episodi sono il tripudio della tradizione e della società conservatrice inglese, ambientati negli anni precedenti e poi successivi ad ambedue le guerre mondiali: la “nonna” Violet madre del signor Robert Crawley, interpretata magistralmente dalla poi defunta Maggie Smith, racconta di essere stata giovincella nel 1840. Racconta la storia dell’evoluzione della società inglese dall’Ottocento fino ai primi del Novecento e delle sue tradizioni, usi e costumi.
La scenografia è molto bella, come la bellezza solitaria e molto fané del maniero nelle cui cucine, ai piani bassi, si dipanano le storie di vita di un ricco stuolo di camerieri e servitori impiegati per il servizio. I ruoli sono definiti, così come le regole di comportamento e professionali, sociali chiare cui si uniformano tutti, nobili e servitori. La società aristocratica ottocentesca viene descritta in maniera magistrale, e con essa, il trascorrere delle sue vicissitudini dei suoi molti protagonisti. Immortalata, si protrae e si snocciola nel tempo. Da una parte infatti, ci sono i nobili privilegiati sebbene economicamente inetti, i quali perdono periodicamente le loro ricchezze e gli averi in investimenti truffa (si cita Tom Ponzi dall’America) dall’altra parte figurano i servitori che vivono insieme e di riflesso ai primi, guardinghi a non sbagliare, a essere “amici fidati”, sempre occhiuti, astuti e spesso sornioni, talvolta anche criminali. Un esempio? La serva, considerata “fidata” in famiglia, mette una saponetta per terra per fare scivolare la padrona all’uscita dalla vasca da bagno. La regia è evocativamente esplicita. In ogni istante di ogni episodio, serie e film di Downton Abbey il leitmotiv è il medesimo: gli esseri umani, pur inseriti in una società per classi, non sono diseguali essendo uniti tutti dalle stesse esigenze, dai medesimi fatti e necessità della vita (mangiare, dormire, accoppiarsi, riprodursi, vivere, morire). I servitori, tuttavia, sono i più proni e drasticamente convinti nel preservare le tradizioni stabilite, facendo quanto più possibile da “blocco” rispetto a quelli tra loro più inquieti.
Vivono adempiendo i doveri, tra infinite faccende domestiche (cibo, pulizie, argenti, ricevimenti dei padroni) ritenendo sé stessi estremamente fortunati (e lo sono dato che fuori è fame nera) di potere lavorare all’interno del castello. Come nel caso del maggiordomo personale di Milord, quasi uno zio di famiglia pur essendo stato in passato un ex attore (attore e attrice in Inghilterra equivaleva al concetto di prostituzione), nel tempo consigliere fidato, rispettoso nel perpetrare ciò che è sempre stato. È una società aristocratica, quella ritratta nel film, fotografata nel momento in cui, con leggerezza e “savoir vivre”, “sgocciola” tra i comuni mortali. Stabile la proprietà, il castello imponente che si staglia nel bel mezzo della campagna inglese, la sua gestione è via via sempre più economicamente difficile e zoppa. Divertente la scena del signor Crowley che, in vista dell’ennesimo fallimento all’orizzonte e della necessaria vendita della proprietà, messo alle strette dalla figlia Mary, visita un appartamento nel centro di Londra sorprendendosi si possa abitare su più piani, tra vicini.
Quella volta aveva male investito l’enorme patrimonio ereditato dalla moglie americana Cora (la bravissima attrice del film C’era una volta in America). La parola d’ordine di tutto intero Downton Abbey è la stabilità. Stabilità nel e per vivere. Consuetudini sociali per la stabilità. Usi e costumi per la stabilità. Ranghi, classi, caste per la stabilità. Fino a occuparsi e intontirsi, gli uni e gli altri, con i soli aspetti esteriori della esistenza, investendo ivi tutte le energie sino a consumarvi ogni forza, sfiniti. Al castello arrivano la luce elettrica e il telefono, il frullatore elettrico. la servitù ne diffida. Eppure grazie all’elettricità, proprio la servitù potrà lentamente affrancarsi. La materialità della sua esistenza è fin troppo ben regolata, per essere appunto e dare quanta più stabilità possibile alle vite di signori e loro custodi a servizio. Dopo Downton Abbey starà per emergere, tra il popolo e l’aristocrazia, i nobili, la borghesia ed il suo nuovo sistema collettivo sociale.
Aggiornato il 23 settembre 2025 alle ore 13:25