Friedrich Nietzsche è interno costantemente alla cultura occidentale a livello quotidiano: un riferimento inevitabile. Tuttavia, essendo più contraddittorio e complicato di quanto si affermi comunemente, è necessario precisarlo. Scrissi la biografia di Nietzsche nel 1985: Ho ucciso Dio. Nietzsche (Dino editore), ed è la più analitica biografia in italiano, anche se altre sono più dettagliate della mia. Il punto è questo: Nietzsche è un pensatore tragico. Significa che valuta l’esistenza tra il Nulla e la Vita. L’uomo muore, tutto viene cancellato e quindi inutile vivere se la vita si cancella. Questa era la visione sostanzialmente di Giacomo Leopardi, che Nietzsche conosce bene e tiene in conto. L’altra visione che Nietzsche considera è quella di Arthur Schopenhauer: la vita è ansia, fatica, preoccupazione, quindi meglio estinguere il sentire. Poi ovviamente vi è la visione religiosa, la vita è un passaggio per l’immortalità dell’anima. Nietzsche comprende, sente che è inconcepibile vivere negando la vita ed è ormai impossibile credere all’immortalità dell’anima. Dio e le religioni sono morte per Nietzsche.

Per l’uomo non vi è eternità, eventualmente c’è l’eterno Nulla. Però, la vita, che ne facciamo della vita? Perché non vivere mentre esistiamo? Nietzsche non rinuncia all’eternità e richiamandosi ai greci propone l’eterno ritorno dell’identico: “Perché io ti amo, eternità!”. È un assurdo. È una nuova religione che non un fondamento. Ma Nietzsche non è in questo aspetto, fantasioso. È nello scontro terribile tra vita, bene, male, compassione! Possiamo vivere se dobbiamo curarci del bene e del male in ogni nostro atto? O la vita è una fiumana, un oceano, un temporale al di sopra del bene, del male, al di sopra, vale a dire: contiene irrimediabilmente sia il bene sia il male. È la vita, non il bene e il male: la potenza vitale nella sua affermazione. L’affermazione della vita non è distinguibile tra bene e male, è affermazione di potenza, volontà di potenza. Ma allora tutto è lecito, ogni atto potente è permesso, è inevitabile come affermazione di potenza? Anche in questo caso Nietzsche è dilemmatico. Talvolta sembra proporre la potenza come che sia, la vita affermata all’acme dell’amore per la vita, vivendola in ogni estensione estrema. Ed è il superuomo, non l’uomo superiore, in quanto l’uomo superiore vive nel dilemma del bene e del male: è Faust. Il superuomo afferma tutta la sua potenza come che sia, purché sia potenza. Ma è così? Nietzsche vive in prima persona il dilemma del bene e del male, crede di averlo superato nella figura del superuomo, ma è combattuto tragicissimamente. Comprende, sente che la vita sia un flusso di energia che non può sostenere la divisione tra bene e male, è una corrente completa, piena di tutto, bene e male spariscono nella totalità fluente. Soprattutto sparisce la compassione, che paralizza il superuomo.

Giungiamo al punto rivelatore della concezione di Nietzsche: il timore che l’uomo superiore sia in preda alla mediocrità in nome della compassione. La colpevolizzazione dell’uomo superiore, se non si dedica ai mediocri è colpevole. Per questo inventa il superuomo, cioè colui che non ha colpa. Lo scopo è liberare l’uomo superiore dal senso di colpa verso i mediocri. “Meglio la morte che la mediocrizzazione”. Il superuomo non ha colpa, ha potenza al massimo grado. Ma torna la questione, tormentosa nella concezione di Nietzsche: questa potenza è il fine del superuomo o uno scopo per l’umanità? È uno scopo di cultura, di civiltà, di arte? O anche di vittoria, di guerra, di sterminio, di crudeltà, perfino? Nietzsche è oscuro a proposito e addirittura smentisce sé stesso. Arriva a formulare la concezione delle caste. Una casta superiore chiusa in sé stessa che eredita il livello massimo di affermazione qualitativa, trasmette per generazioni questa superiorità che diventa quasi una seconda natura. E tutto questo per distanziarsi dalla mediocrità, dai “ciandala”, come li definiva Nietzsche. Addirittura giunge a sostenere che un livello superiore generalizzato debba costituire lo scopo dell’umanità.

Ascoltando un concerto con musica di Giacomo Carissimi, pur riconoscendo di non possedere il genio di un Wolfgang Amadeus Mozart o di un Ludwig van Beethoven, non lo dice esplicitamente, apprezza radicalmente il livello qualitativo, appunto la casta, un insieme di uomini capace di mantenere alta la civiltà. In altre circostanze però ritorna il superuomo. Ma il superuomo non può essere un soggetto della casta, non ha una livellazione. Non sono contraddizioni semplici, sono contraddizioni che invalidano la concezione di Nietzsche, la rendono dubbia: casta o superuomo? Ma la questione vale relativamente. Nietzsche era esulcerato da un terrore che distruggeva l’unico bene dell’uomo, la vita, ossia il terrore della mediocrità. La mediocrità era l’anti-vita, obbligare la superiorità a venire incontro ai mediocri. In parallelo, con la vendita commerciale, che cercava di vendere più ampiamente possibile, la quantità sostitutiva la qualità. Questo abbassamento delle società contemporanee, questa perdita di aristocrazia, diventava in Nietzsche un malessere insostenibile. Anche perché, incredibilmente, egli capiva, sentiva quanto spietato doveva essere l’uomo per vivere al proprio livello supremo.

Quando a Torino vide un cavallo bastonato perché crollava sotto il peso del carico, la sua concezione gli esplose. Quella era la sua concezione: schiavizzare gli altri per uno scopo di potenza, schiavizzare, ma non farli soffrire. Un abisso tra la schiavitù e la sofferenza dello schiavo. Nietzsche non voleva la sofferenza dello schiavo, dei “ciandala”. Voleva soltanto che il superuomo non si volgesse ai desideri dello schiavo, al livello dello schiavo. Perché non c’è peggior soggetto dello schiavo che vuole schiavizzare. Lo schiavo vuole dominare. Ed è la mediocrità il dominio dello schiavo. Nietzsche non voleva questo, ma lo presentì come possibile. Non voleva che lo schiavo, usava questo termine, soffrisse. E quando vive la bestialità dell’uomo incrudelire sull’animale, gli esplose la sua concezione, che forse taluni uomini, per considerarsi superiori o superuomini avrebbero massacrato gli schiavi. Non era questo che voleva Nietzsche, o almeno non era lo scopo fondamentale di Nietzsche. Voleva soltanto che non si perdesse il livello della civiltà. Se abbiamo solo la vita, la vita vale se non è mediocre. Che senso ha vivere senza vivere? E la mediocrità è il non vivere.

Aggiornato il 18 settembre 2025 alle ore 09:29