
Nessuno potrà negare la straordinaria potenza visiva del Frankenstein di Guillermo del Toro, presentato in concorso in anteprima mondiale alla 82ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il film ha immediatamente raccolto il plauso della critica, che ne ha lodato l’imponente impianto scenico, la regia e le intense interpretazioni del cast. Come raccontato dallo stesso regista in numerose interviste, questo è un progetto a lungo coltivato e finalmente realizzato. Da sempre affascinato dalla figura del mostro, del Toro, grazie anche alla distribuzione globale di Netflix, è riuscito a portare sul grande schermo la sua personale visione del capolavoro di Mary Shelley. In termini di trama, il regista si riappropria del mito con un rispetto quasi reverenziale per il testo originale. Il risultato non è un semplice film dell’orrore, ma un dramma filosofico che indaga i temi universali della creazione e dell’abbandono, della solitudine e della ricerca, comune a tutti noi, di un posto nel mondo. La narrazione si concentra sul tormentato rapporto tra il Dottor Victor Frankenstein, interpretato da un intenso Oscar Isaac, e la sua Creatura, cui presta il volto Jacob Elordi.
Il regista, come notato dalla critica, si concentra sulla fragilità e sull’innocenza iniziale del suo moderno Prometeo, una creatura rigettata da un mondo che non la capisce a causa del suo aspetto. Questo spunto, tuttavia, solleva un interrogativo quasi inevitabile nell’attuale panorama artistico: perché affidare il ruolo del mostro a Jacob Elordi, un attore dall’immagine così definita e amata dal pubblico più giovane? Sebbene la sua interpretazione sia fisicamente intensa e toccante, la scelta appare come una provocazione calcolata. Un modo per proporre una rilettura inedita del personaggio, oppure una strategia per confondere le aspettative del pubblico? Il dubbio rimane, ma il pericolo, a mio avviso, è che tale ossessione per l’originalità finisca per svuotare di profondità i momenti del film che più la richiederebbero. Ma al di là di questa riflessione, è l’estetica a parlare, diventando un elemento narrativo fondamentale. Fedele al suo stile inconfondibile, del Toro orchestra un tripudio di scenografie elaborate e costumi sontuosi, mentre la fotografia, cupa e pittorica, avvolge lo spettatore in un’atmosfera di magnifica opulenza. È un mondo in cui il terrore si sublima in fascino, un abisso seducente che invita a smarrirsi per poi riscoprirsi: nient’altro che la quintessenza del gotico. Senza dubbio, la forza del film risiede anche nel suo cast stellare. Oltre ai due protagonisti, brillano Mia Goth nel ruolo di Elizabeth, Christoph Waltz e Charles Dance. Ogni attore contribuisce a dare spessore a un racconto corale, in cui le ossessioni di Victor si scontrano con l’umanità ferita della sua creazione.
Aggiornato il 09 settembre 2025 alle ore 13:57