Quando eravamo petainisti

Non sono pochi i sogni che restano nel cassetto. Insieme a qualche foto. Quella che è rimasta chiusa per 52 anni avrebbe potuto cambiare la storia di un uomo politico, di un presidente e di un intero Paese. E invece è rimasta al buio per più di mezzo secolo. Accantonata, non dimenticata; riposta, non nascosta; scomparsa, rimossa e poi riapparsa al riparo da sussurri e abbagli, occhi indiscreti e segreti di Stato. Il 15 ottobre 1942 un giovane François Mitterrand incontra Philippe Pétain. In quel pomeriggio la siesta del maresciallo è più corta del solito. Alle 15 sono previsti i primi incontri. Alle 17.30 si presenta una delegazione di 4 persone in rappresentanza di un centro dipartimentale di aiuto ai prigionieri di ritorno dalla Germania. L’incontro viene immortalato in una foto che resterà “segreta”, virgolette d’obbligo, per più di mezzo secolo. Oltre al futuro presidente della Repubblica e all’ex eroe della Prima guerra mondiale si nota anche un tipo alto e allampanato, Marcel Barrois, responsabile dell’organizzazione.

Di fronte a Pétain, il 26enne Mitterrand appare ammirato da una figura da cui lo separano 3 generazioni (il maresciallo ha 86 anni) e almeno 3 vite. Il giornalista e autore Patrice Duhamel ha ripercorso in La Photo. Pétain-Mitterrand: l’histoire secrète du document qui aurait pu bousculer la Ve République, la storia di una bomba inesplosa e che quando è deflagrata ha avuto lo stesso effetto di una congegno caricato a salve. Ma del “segreto” erano a conoscenza tutti. Lo era certamente il generale Charles de Gaulle, che nella campagna presidenziale del 1965 aveva proprio Mitterrand come suo avversario al ballottaggio per l’Eliseo. De Gaulle aveva a disposizione una bomba politica che avrebbe archiviato la carriera politica di Mitterrand, e reso molto più agevole il suo percorso per la riconferma a palazzo. La foto gli fu presentata dal ministro dell’Interno Roger Frey, che aveva richiesto al generale un incontro urgente. Frey, gollista di lunga data, odiava il candidato socialista, che considerava allo stesso tempo “formidabile e pericoloso”, ed era inorridito dall’idea che de Gaulle potesse averlo come avversario al secondo turno. Anche il prudente Alain Peyrefitte, afferma l’autore, propone al generale di usare la prova regina del Mitterrand “petainista”, perché “una campagna elettorale non è una passeggiata”. Anzi, dice a de Gaulle, “una campagna elettorale è come un incontro di boxe: si tirano pugni e si incassano. Se non si tirano pugni e ci si accontenta di incassarne, anche se si è campioni del mondo, si finisce per cadere in piedi”.

Il presidente de la Republique preferisce soprassedere. “Mitterrand è un mascalzone, ma non mi impegnerò nella politica delle bombe puzzolenti”, avrebbe risposto, motivando la scelta nel non voler “indebolire la carica presidenziale”. Niente coltellate alla schiena, dunque. Da quel momento, seguendo l’esempio di una scelta che fu definita “giurisprudenza de Gaulle”, diversi primi ministri e presidenti, tentati dalla volontà di rendere pubblica quell’immagine, hanno alla fine dovuto cedere alla ragion di Stato. È stato così anche per Valéry Giscard d’Estaing, presidente uscente che nel 1981 perse al ballottaggio contro il candidato socialista, e che considerò l’ipotesi di giocarsi il jolly per stroncare la carriera politica di Mitterrand. I due contendenti, però, assicura Duhamel, strinsero un patto per non ricorrere ad attacchi personali durante la campagna elettorale. La foto rimase ancora nel cassetti e Giscard non fu riconfermato all’Eliseo, sconfitto da chi avrebbe poi governato la Francia per 14 anni.

Mitterrand cadde sempre in piedi. Poi nel 1994, ancora all’Eliseo, ammise. La foto fu pubblicata nella sua biografia, Une jeunesse française, scritta dal giornalista Pierre Péan, interessato alla carriera di Mitterrand durante la Seconda guerra mondiale, che lo descrisse come convinto aderente alla rivoluzione nazionale del maresciallo Pétain. Un petainista, tuttavia, con due eccezioni: anti tedesco sì; anti semita, no. Il motivo vero per cui Pétain decise di ricevere la delegazione, in quel 15 ottobre 1942, fu principalmente il tentativo di avviare “una campagna di seduzione contro i movimenti sociali”, raccontò lo stesso Mitterrand nel luglio 1994. Ma cosa pensava il giovane François di Pétain? “Ho visto il maresciallo una volta a teatro”, scrive in una lettera. “Ero seduto proprio davanti al suo palco e ho potuto ammirarlo da vicino e comodamente. È magnifico nell’aspetto, il suo viso è quello di una statua di marmo”. Come si accennava, le vite di Mitterrand durante la guerra furono almeno 3. La prima, tra fronte e prigionia, durò 850 giorni; la seconda, come collaboratore della Francia di Vichy, durò 350 giorni, la terza, come membro della Resistenza, in clandestinità, 580. Quasi 1.800 giorni di eroismi, ambiguità, diffidenze, timori e speranze, dei quali, però saranno sempre i 350 giorni di Vichy a creare sospetti, polemiche. Fino al giorno, il 1° settembre 1994, in cui fu svelata la foto che solo trent’ anni prima lo avrebbe potuto inchiodare.

(*) La Photo. Pétain-Mitterrand: l’histoire secrète du document qui aurait pu bousculer la Ve République di Patrice Duhamel, L’Observatoire 2025, 186 pagine, 21 euro

Aggiornato il 08 agosto 2025 alle ore 15:09