
Toni Servillo ipnotizza la platea dei giovani del Giffoni Film Festival. Il celebre interprete riflette sul mestiere dell’attore, evocando maestri come Louis Jouvet e l’importanza di non abituarsi mai alla scena. “Quella dell’attore – dice Servillo – non è una carriera facile. Tanta disciplina, tanta solitudine e silenzio, tante camere d’albergo, i primi tempi anche piuttosto brutte”. Un racconto di vita vera, di camerini e palcoscenico, di fatica e di militanza, di scelte e di bivi. Ma alla fine strappa un applauso quando ammette che ancora adesso ogni volta che va in scena “gli sbatte o’ core” e gli tremano le gambe proprio come diceva il suo amatissimo Eduardo De Filippo e la passione per questo mestiere li infiamma. E per chiarire ancora di più la faccenda racconta di quando “Louis Jouvet, grande uomo di teatro, dietro le quinte chiese a un ragazzo che aveva preparato per il saggio finale del corso di recitazione e che stava per entrare in scena: Hai paura?. E questo ragazzo gli rispose di no. E Jouvet gli disse: Arriverà, con il talento”.
Nel momento in cui queste condizioni non si verificano più, “entriamo nella sfera della routine – dice – e i primi ad accorgersi che un’interpretazione e il lavoro di un attore sono routine sono proprio gli spettatori. E allora forse è meglio fermarsi, ritenendo di non avere più nulla da dire”. Servillo “è felice di tornare a Giffoni, uno dei festival del cinema più belli del mondo, non solo d’Italia”. Con Paolo Sorrentino ha appena girato il settimo film, La grazia, che aprirà in concorso la prossima Mostra del cinema di Venezia, al via il 27 agosto. “Sul set – ammette – l’entusiasmo era immutato. Una volta un produttore amico ci disse che ci eravamo fatti del bene reciproco. Aveva ragione, perché tra di noi esiste un profondo legame umano oltre che professionale. Gli devo moltissimo: è stato il primo regista a concedermi di interpretare un ruolo da protagonista a tutto tondo. Ed è soprattutto uno sceneggiatore e un dialoghista eccezionale. Evidentemente, poi, avverte anche la mia docilità ad adattarmi ai suoi ruoli e posso dire che ci soccorriamo a vicenda”. Servillo aggiunge che Sorrentino lo considera “il suo fratello maggiore. E mi ha fatto interpretare addirittura suo padre. Il nostro segreto è probabilmente la capacità di rinnovare sempre la curiosità”.
E sull’uomo in più, esordio di Sorrentino, dice che “fin dall’inizio manifestava l’interesse a raccontare personaggi che stanno per raggiungere il successo e poi conoscono il declino”. E proprio su questa fragilità, ma anche sulla necessità dell’essere umani Sorrentino regala un bellissimo messaggio ai giovani: “Dovete coltivare il valore della vita. Una vita che è continuamente oltraggiata. Si uccide per nulla e questo è uno scempio. Ricordate, il cinema non deve raccontare solo buone favole, ma anche i valori che vengono vilipesi”. L’attore racconta come proprio al teatro debba gran parte della sua umanità: “L’esperienza dello spettacolo dal vivo – ahimè – si va sempre più riducendo perché qualcuno, che non ci passa neanche per un luogo come Giffoni, ha interesse che tutti stiano nelle case da soli a guardare cose inframmezzate da spot pubblicitari. Quello ci allontana dalla dimensione dell’umano ci fa sembrare anche la tragedia di una guerra come qualcosa che appartiene al mondo della rappresentazione. Non è reale e quindi non è umano e quindi ci lascia indifferenti”.
Tante le domande sui molti personaggi, anche reali e famosi, a cui ha dato vita. “Ogni personaggio – dice – è una sfida diversa e ognuno ti lascia qualcosa dentro. Io penso si debba guardarli dal basso all’alto, sia buoni che cattivi, come se fosse qualcuno più affascinante di te per cui devi metterti al suo servizio”. Servillo crede sia più difficile interpretare persone realmente esistite, “perché devi trovare una strada originale che non corrisponda all’idea del pubblico. Non mi è mai piaciuta l’idea dell’imitazione del biopic. Certi film, come Il Divo, colgono un aspetto di un personaggio in un momento particolare del nostro Paese. Ho cercato di intensificare la realtà per offrire una figura simbolica che non fosse una banale copia”. Ma è anche molto interessante vestire i panni di un personaggio “che è frutto della poetica di un autore che si impone allo spettatore. Pensare che per tantissimi Jep Gambardella sia come una figura in carne e ossa è un risultato straordinario che mi riempie di soddisfazione”. Infine, chiude spiegando di aver avuto “la fortuna di scegliere sempre i film che volevo fare, privilegiando il legame umano e la condivisione di orizzonti intellettuali con registi e autori. Sono stato fortunato? Diciamo che non mi sono mai fatto condizionare dalle logiche di mercato”. Ma ripete che ci vogliono sacrificio, impegno costante e rinunce: “Esisterà sicuramente qualcuno che incarna il mito del genio e sregolatezza, ma non mi ha mai appassionato. Il lavoro quotidiano dell’attore sul personaggio, sulla capacità di offrire nella propria epoca la potenza simbolica di un Amleto, di un Alceste, di un’Ofelia, di una Giulietta e di un Romeo richiede quelle rinunce che sono simili a quelle di un atleta che riesce a scendere sui cento metri sotto i dieci secondi”.
Aggiornato il 22 luglio 2025 alle ore 16:44