
L’anniversario di Alfredo Catalani avrà risonanza locale. Del resto riguarda il mese di nascita, giugno, del 1854. Ma ha dei cultori, a Lucca. Ebbe la sorte sventurata di morire abbastanza giovane, nel 1893, ed anche quella culturale di voler essere innovativo nella operistica italiana fondamentalmente basata sulle “arie”, pezzi singoli cantati ovviamente nei quali la parte orchestrale accompagna la voce, la melodia delle “arie”. Ripeto, più che stabilire armonia in sé. Lo dico genericamente e con misura, distinguendo, personalizzando, in specie rispetto al wagnerismo, musica invece scarsa di canto, vasti recitativi, pienezza orchestrale presso che sinfonica. Una rigogliosissima vibratilità orchestrale innovativa anche in Germania e con derivazione da Hector Berlioz oltre che da Ludwig Van Beethoven, musica impressionistica più che concettuale. Canto sì, ma anche un canto parlato non melodico. L’opera all’italiana, tutt’altro, “arie” a sequenza, canto io, canti tu, e l’orchestra in sottofondo. Quando il wagnerismo divenne europeo, anche in Italia taluni si convertirono. Alfredo Catalani accrebbe i compiti orchestrali in fluenza continuativa che oltrepassava le “arie” o pretendeva di oltrepassarle.
In realtà, il wagnerismo italiano fu all’italiana. Siamo costituzionalmente melodici e nati per cantare. Di sicuro attenzione all’orchestra vi fu, maggiore, con il wagnerismo, non soltanto accompagnamento spesso risicato. Addirittura, Giuseppe Verdi, esponente delle “arie” all’italiana, spregiatissimo da Friedrich Nietzsche (però molti italiani spregiavano il wagnerismo), nelle opere estreme, Otello, Falstaff, armonizza la melodia, per dire, arricchendosi di sonorità. Ma Verdi si accresceva come Verdi non certo come wagneriano. Invece, un wagnerismo wagneriano accadde, e Catalani vi partecipò, con disgusto di Verdi. Interessante quel fine XIX secolo. Il nazionalismo entra nell’arte, i tedeschi musica tedesca, i russi musica russa, gli italiani musica italiana, i francesi musica francese. Però si registrarono delle contaminazioni, almeno quante repulsioni. Georges Bizet odiava Giuseppe Verdi, Jules Massenet, Giacomo Puccini, con riguardo a Manon Lescaut. Puccini non sopportava Igor’ Fëdorovič Stravinskij. Si passava dal Romanticismo al Verismo, all’Impressionismo, all’Espressionismo.
Catalani rappresenta poco di questa congerie, ma tentò sperimentalismi sia nella fluenza orchestrale non limitata all’accompagnamento della voce sia nella continuità melodica oltre le “arie” isolate. Resta in specie per La Wally. Con momenti superiori, è di carezzevolissima cantabilità, con un’orchestrazione armoniosa, scorrevole, ondeggiante. Si affliggeva di dover morire e dichiarava che avrebbe assai creato, vivendo. Soffriva di tisi, e ne morì. Ma il nostro Paese, e non soltanto il nostro, era rigogliosissimo. Arrigo Boito, che rifinì per Verdi Otello e Falstaff da William Shakespeare, compose il Mefistofele, opera tutta bella, entrata relativamente nel repertorio, che non ha la cantabilità sentimentale, passionale di Verdi o malinconica di Puccini, sicché non viene memorizzata, e sia, nel proprio ambito, perfetta. Anche La Gioconda di Amilcare Ponchielli, oltre un’aria notissima, non è facilmente memorizzabile, tuttavia si fa ascoltare, drammaticamente. Più orecchiabile Andrea Chenier di Umberto Giordano e qualche “aria” della Fedora sempre di Giordano, come “arie” di Francesco Cilea, ma intendiamoci reggono le opere. Pietro Mascagni e Ruggero Leoncavallo imperversano come Puccini. Risultato, puoi scrivere un capolavoro, se non ti mantieni nella sfera di mentalità interiorizzata della tua società resti ai margini.
Essere popolari e superiori è di pochissimi. Per dire, musicisti italiani del XVIII-XIX secolo hanno conoscenza popolare minima rispetto al valore: Luigi Boccherini e Gaspare Spontini. Il maestro Riccardo Muti fece conoscere La Betulia liberata di Niccolò Jommelli con dei pezzi degni del migliore Johann Sebastian Bach, ma per aggiungere, anche autori rappresentatissimi, un Gaetano Donizetti, un Gioachino Rossini, sono scrigni in gran parte chiusi. Finché nelle scuole non si fa posto alla musica classica, operistica e strumentale, perdiamo una dilatazione della risonanza vitale. La musica precede la parola ed è irrevocabilmente emozionale. Basta una minimità a subbugliare. Se udiamo la celeberrima “aria” de La Wally: “Ebben, ne andrò lontana”. Scriveva Dante: “Trasumanar significar per verba non si poria”. Appunto, la musica oltrepassa la parola!
Aggiornato il 24 giugno 2025 alle ore 13:19