
Per la gioia e la felicità dei lettori che amano i libri di Philip Roth, grande scrittore, a cura di Matteo Codignola, approda nelle librerie, in una pregevole edizione a cura dalla casa editrice Adelphi, Portnoy. Questo libro, una narrazione in forma di monologo che Alexander Portnoy pronuncia alla presenza del dottor Spielvogel, lo psicanalista che lo segue, è il libro che ha consacrato Philip Roth come grande intellettuale contemporaneo. Nella parte iniziale del suo monologo, ricorda che da bambino, quando osservava le insegnanti, pensava che fossero sua madre travestita, immagine efficace che spiega il famoso complesso di edipo, centrale nella psicanalisi. Il padre, agente assicurativo ebreo, che proponeva le assicurazioni alla popolazione nera contro i rischi a cui è esposta la vita umana, poiché a lui avevano tarpato le ali, sognava attraverso il successo professionale del figlio di realizzare la sua personale liberazione dalla ignoranza, dallo sfruttamento, dal grigiore esistenziale. La madre, che aveva instillato nell’animo di Alexander i principi della cultura ebraica, quelli dell’autocontrollo, della responsabilità, della temperanza, del senso del dovere e della virtù, somigliava ad un rader che controllava la vita di suo figlio alla ricerca di errori e sbagli.
Portnoy chiede al dottore, a distanza di tanto tempo se lui debba liberarsi dall’odio oppure dall’amore, poiché il passato lo ricorda con un rapinoso e lacerante senso di perdita. Forse, afferma Portnoy, la mia malattia dipende dal disagio ebraico, di cui tanto ho sentito parlare, legato al lascito delle angherie, delle persecuzioni e pogrom che gli ebrei hanno dovuto patire nel corso di duemila anni. La madre, visto il temperamento mite del padre, oppresso ed incapace di assoggettare il prossimo, colmava il vuoto patriarcale in famiglia con la sua forte personalità. Per sfuggire negli anni quaranta all’odio antisemita, la famiglia di Portny dovette lasciare Jersey City e trasferirsi a Newark. Infatti lo zio di Alexander, Hyrir, aveva fatto notare a suo padre che mentre a Jersey City solo il loro palazzo era ebraico, a Newark, dove si erano trasferiti, un intero quartiere era abitato dagli ebrei. Il conflitto con il padre Portny lo ebbe quando affermò che non era scritto da nessuna parte che, siccome la religione ebraica era la loro, dovesse essere anche la sua. Il padre, in risposta alle parole del figlio, che trasudavano disprezzo per la religione ebraica, gli fece notare che lui ignorava la storia della religione e del popolo ebreo, e che, in ogni caso, sono duemila anni che persone molto più sveglie e grandi di lui si trovavano bene seguendo i precetti spirituali e morali della religione ebraica. Quando la madre di Portnoy si ammala e in ospedale subisce un intervento chirurgico, riceve la visita del rabbino Warshaw, che con parole suadenti cerca di confortarla e rasserenarla. In quella circostanza, sopraffatto dalla disperazione, Portnoy si rivolge a Dio, anche se ha molti dubbi intorno alla sua esistenza. Portnoy ricorda che, appena concluse le scuole medie, aveva visitato il palazzo di giustizia di Newark ed era stato colpito dalla statua in bronzo raffigurante Abraham Lincoln che, con sguardo pensoso e meditabondo, medita sulle imperfezioni della società.
La statua di Washington, invece, raffigura il padre della patria, in piedi al fianco del destriero, che indica con il dito che non bisogna infierire sui diseredati e i più deboli. Proprio durante la adolescenza, Portnoy aveva compreso il valore del principio della eguaglianza umana. A trentatré anni, da legale, era un uomo di successo, di cui parlavano i grandi giornali di New York, poiché era vicecommissario della commissione istituita dal sindaco della città per prevenire le discriminazioni, promuovere le pari opportunità, affermare e tutelare i diritti inalienabili delle minoranze presenti negli Usa. Nel libro si parla dei desideri, del rapporto che Portnoy ha avuto con le donne che ha amato e frequentato. Infatti ammette che per capire il prossimo bisogna mettersi nella testa di un altro. Pur avendo tutta l’attrezzatura per farlo, un cervello, la spina dorsale, i quattro fori con gli occhi e le orecchie, spesso l’uomo si aggira nel mondo senza capire cosa provino o sentano i suoi simili. Infatti i rapporti con le donne per Portnoy sono complicati. Arrivato alla soglia dei trenta cinque anni non ha figli e una famiglia, pur essendo sul piano professionale affermato. Ammette che prendersela con qualcuno è una forma di sofferenza che bisogna con intelligenza evitare. Ricorda che il suo amico di adolescenza, Ronald Nirkiv, il giovane pianista, si era tolto la vita per la oppressione della rigida educazione ebraica. Portnoy confessa allo psicanalista di non sopportare il senso di superiorità ostentato dagli ebrei verso i gentili, la piccineria e la meschinità della mentalità ebraica.
Confessa di avere cercato di liberarsi di ogni cosa che è alla origine delle nevrosi, da cui il suo animo è tormentato, senza, tuttavia, riuscirci. Il suo corpo, segnato dalle rimozioni, presenta una singolare somiglianza con una cortina stradale. Vive in una condizione di disagio esistenziale, Portnoy, poiché la sua coscienza è dolorosamente lacerata dai disideri che gli provocano ripugnanza. La storia d’amore, durata dieci mesi con una donna Mary, da lui designata con l’epiteto di Scimmia, è raccontata nel libro in modo magistrale e descritta con immagini indimenticabili. Ha letto, Portnoy i libri di Sigmund Freud e a proposito della degradazione della vita amorosa, ha compreso che per avere una attitudine amorosa normale è necessario che nelle vicende amorose vi sia la coesistenza di due correnti, quella sentimentale e quella sensuale. Il libro si conclude con un viaggio di Alexander Portnoy in Israele. Osserva dalla oblò dell’aereo l’Asia e subito dopo Israele, la terra che storicamente è la culla dell’ebraismo. Dopo l’atterraggio, Portnoy si trova in un aeroporto dove non era stato prima e dove tutte le persone sono ebree. Per questo prova una sensazione di gioia dovuta al senso di appartenenza alla identità ebraica. A Tel Aviv Portnoy incontra una giovane donna, appartenente all’esercito israeliano con il grado di tenente, avvenente e dagli occhi verdi. Naomi snocciola, durante la conversazione che ha con Portnoy i cliché roboanti che inneggiano in favore di una società giusta, unita nella lotta per la giustizia e la fratellanza umana, per avere una vita socialmente produttiva. Noemi, che ha sperimentato la vita comunitaria nel Kibbutz, delinea una distinzione tra il modello sociale che predilige e quello del sistema americano, che secondo lei alimenta i lati peggiori della natura umana, la rivalità, la gelosia, la competizione, l’individualismo esasperato. Un libro, questo del grande scrittore americano, Portnoy, che appartiene alle opere immortali del XX secolo. Imperdibile.
(*) Portnoy di Philip Roth, a cura di Matteo Codignola, Adelphi 2025, 283 pagine, 19 euro
Aggiornato il 09 giugno 2025 alle ore 12:46