
Francesca e Giovanni. Una storia d’amore e di mafia è il titolo completo, ma il film per la regia di Simona Izzo e Ricky Tognazzi si sarebbe dovuto chiamare Lo sguardo di Francesca. È questo il taglio della pellicola arrivata nelle sale il 23 maggio scorso, amara ricorrenza di quel sabato 1992, della strage di Capaci del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Lo ha spiegato la poliedrica Simona Izzo, attrice, sceneggiatrice, regista in coppia con il partner di una vita, Ricky Tognazzi, primo figlio dell’indimenticabile Ugo Tognazzi. La sceneggiatura è firmata a sei mani: da Simona Izzo, dal giornalista Felice Cavallaro, autore del libro Francesca: storia di un amore in tempo di guerra (Solferino, 2022), e da Domitilla Shaula Di Pietro, autrice e sceneggiatrice con all’attivo A mano disarmata (2019, regia di Claudio Bonivento), storia di una cronista d’assalto (Federica Angeli di Repubblica) nei clan della malavita di Ostia. Il film vuole rendere omaggio al lato più inedito della coppia Morvillo-Falcone e che rilancia “il cinema d’impegno civile” di Giuliano Montaldo, Florestano Vancini, Elio Petri, Francesco Rosi fino a Il traditore di Marco Bellocchio. Lo rilancia perché, dopo la stagione delle serie tivù Ottanta-Novanta, riporta in sala la tensione, l’emozione e – soprattutto – la coscienza civile.
“Non è un passaggio facile”, spiega Simona Izzo. “Sia raccontare e sia produrre e poi riportare il pubblico davanti al grande schermo”. Ma Richy e Simona sono “figli del cinema” e proprio il cinema neorealista e politico è quella mancanza strutturale dell’attuale industria culturale. La coppia Izzo-Tognazzi è riuscita a trovare la chiave, affondando nella conoscenza del fenomeno mafia di Felice Cavallaro, nelle suggestioni eroiche di Domitilla Shaula Di Pietro, che ha acceso la memoria. “Il 23 maggio di quattro anni fa assistendo in tivù alla ricorrenza”, racconta la sceneggiatrice, “mi ero accorta che la vita della Morvillo era rimasta in secondo piano rispetto al ruolo di Falcone, del pool e dei retroscena di Cosa nostra. Mi sono attivata riuscendo a contattare il fratello di Francesca, Alfredo Morvillo, al quale è stato subito spiegato l’intento di dedicare il progetto alla magistrata”. Poi hanno funzionato gli incontri di produzione e di regia. E la storia di Francesca si è calata nella scrittura di coraggio e impegno con il lato romantico e innamorato che è la firma di Simona Izzo. Amare l’amore. La vicenda di mafia, che resta la ferita grave, non si perde, ma su tutto assurge l’invincibilità dei sentimenti, che poi sono la lezione migliore per i nostri tempi. “Sì, effettivamente”, aggiunge la Izzo, “era giusto guardare agli eventi dalla parte di Francesca, che è stata una magistrata di primo piano e il vessillo del coraggio”.
La storia parte nel 1979, in una Palermo sconvolta dalla guerra delle cosche. Francesca Morvillo (la bravissima Ester Pantano) è il sostituto procuratore del Tribunale dei minori di Palermo e vive col marito Giuseppe. Viene chiamata a seguire un caso di parricidio: Dino, un quindicenne vissuto nei quartieri della violenza, è accusato di aver ucciso il padre. Francesca lotta contro un sistema giudiziario punitivo, riformato solo nel 1988, in cui la rieducazione è slancio personale, che nel caso di Francesca incontra il ruolo messianico di Giovanni Falcone (l’efficace Primo Reggiani). Lui ha da poco lasciato la moglie, lei è attraversata dal destino. Si innamorano: identità che si fondono, responsabilità che convergono, valori reciproci che determinano intimità sempre più imprescindibili.
“Raccontare Francesca, far conoscere il suo amore per Giovanni e la sua vita per la giustizia ci ha spinti a questo progetto”, hanno precisato i registi. “Ci sono storie che nascono non solo dalla propria ispirazione, ma dall’obbligo morale e civile di ricordare l’operato di chi sacrifica la vita”. Francesca Morvillo, morta sotto 500 chili di tritolo, è stata una delle prime donne di legge ad occuparsi di minori e la prima consigliera della Corte d’appello di Palermo. “Abbiamo raccontato le vicende quasi esclusivamente attraverso il suo punto di vista, il contesto in cui si è trovata a vivere in una Palermo in guerra. Siamo entrati, con discrezione e rispetto, nell’intimità del rapporto tra Francesca e Giovanni. La loro è stata una grande storia d’amore e di condivisione di ideali. Insieme hanno combattuto, aiutandosi reciprocamente contro la mafia, insieme sono morti”.
Ci sono tre coppie che si intrecciano nella trama. La prima è ovviamente quella della magistrata e del giudice di ferro, Francesca e Giovanni: entrambi hanno lasciato i rispettivi coniugi, entrambi si trovano a uno snodo delle vite personali, ma l’iter esistenziale non risponde ad alti e bassi individuali o indotti dai vuoti sociali, risponde alla logica eterna del destino. Senza l’amore non ci sarebbe il coraggio e non ci sarebbero uomini e donne di valore, perché l’amore è un’etica e dunque una energia che determina la qualità. La seconda coppia è quella Izzo-Tognazzi, perché loro sono così, il film ricalca l’afflato e il senso che i registi hanno dato anche alla loro vita di cinema e di convivenza. E’ la terza coppia che costituisce l’asso nella manica, perché i vissuti sfociano nella vicenda di Dino, il giovane parricida, che rischia sedici anni di carcere al Malaspina e poi nel circuito penitenziario. Il finale sembra scontato. Ma l’impegno di Francesca Morvillo e l’esempio di Giovanni Falcone, se da una parte armano la mafia incancrenita, dall’altra offrono una via ai due giovani, che trovano la forza di capovolgere la sentenza e la vita. Se è cronaca la frase secondo cui la Morvillo l’ultima cosa che avrebbe detto sarebbe “dov’è Giovanni?”, mentre passano i volti sconvolti di Paolo Borsellino e dei famigliari durante il trasporto nei corridoi del pronto soccorso, la trama porta il suo ultimo sguardo negli occhi di Dino e della sua ragazza accorsi, affinché Francesca possa morire nella speranza che l’amore salva l’onore. Dice tutto e arriva al cuore la frase scelta a epitaffio della conclusione, che lascio a chi andrà a vedere il film. Prodotto da Orange Pictures, Adler Entertainment, in associazione con Virtuoses Pictures, con il sostegno della Direzione generale cinema e audiovisivo del Ministero della Cultura e della Sicilia Film Commission, è una pellicola toccante e incisiva, che merita il pubblico in sala, si può solo dire di non mancare perché è un’opera che costruisce e un lavoro che merita di essere portato ai giovani per una educazione di storia e qualità.
Aggiornato il 30 maggio 2025 alle ore 11:32