
Diego Abatantuono oggi compie 70 anni. La sua è una parabola esemplare: da “terrunciello” a maestro del cinema italiano. Ma, prima della consacrazione cinematografica e dell’Oscar vinto per Mediterraneo di Gabriele Salvatores, l’attore milanese e milanista, debutta come comico sul palco del Derby, celebre locale meneghino di cabaret. Interprete, regista, produttore e scrittore, riscuote sempre un sicuro successo di critica e di pubblico. È stato capace di attraversare, con un irresistibile cinismo, autori, generi e decenni. Nasce in Via Dolci a Milano nel 1955 da un padre calzolaio di origine foggiana e una madre comasca. Dagli amici del padre e da quella comunità meridionale che negli anni Cinquanta colonizza la periferia milanese e la zona di Lorenteggio in cerca di lavoro, ricava il succo del suo primo personaggio di successo, portato in giro nei cabaret prima coi Gatti del Vicolo Miracoli e poi da solo. Ma se la madre non fosse stata guardarobiera al tempio della comicità milanese, forse Diego non ci avrebbe mai messo piede. Spesso gli fa compagnia l’amico d’infanzia Ugo Conti, ma nelle notti del Derby incrocia tutta una generazione d’artisti: Massimo Boldi, Mauro Di Francesco, Giorgio Faletti, Ernst Thole, Guido Porcaro che gli cuce addosso il primo personaggio (l’immigrato meridionale tifoso di calcio) e poi Enzo Jannacci e Beppe Viola con cui forma anche un gruppo, I Repellenti.
Intanto però viaggia tutto il nord Italia con i Gatti che sono prima di tutto amici e poi comici che lo spingono a debuttare. Nella Milano degli anni Sessanta tutti sono milanisti o interisti: Diego sceglie col cuore la causa rossonera. “Diventai milanista – racconta – perché da piccolo trovai un giorno per terra il portafoglio di mio nonno. Lo aprii e vidi le foto ingiallite di Padre Pio e Gianni Rivera, che io non conoscevo, non sapevo chi fossero. Lo chiesi a mio nonno e lui mi spiegò: uno fa i miracoli, l’altro è un popolare frate pugliese”. La fortuna artistica comincia davvero con un piccolo spettacolo, La tappezzeria, trasmesso dalla sede milanese della Rai e in cui compare insieme a Jannacci, nel 1980. Intanto però ha già messo piede nel cinema. Le prime apparizioni (Liberi, armati e pericolosi di Romolo Guerrieri e Saxophone, con Renato Pozzetto) non sono memorabili. Ma la musica cambia quando i fratelli Carlo ed Enrico Vanzina lo ingaggiano, insieme agli amici veronesi per Arrivano i Gatti, sempre del 1980. Ora produttori e registi lo notano: Renzo Arbore per Il Pap’Occhio, Steno per Fico d’India, Paolo Villaggio per Fantozzi contro tutti. Il vero pigmalione resta però Carlo Vanzina che gli offre un film tutto suo nel 1982: Eccezzziunale... veramente è un successo a sorpresa, modellato sui personaggi già collaudati a teatro e cuciti in un piccolo affresco memorabile di “milanesità” importata. In quello stesso anno sforna ben sette film passando dallo spadone di Attila flagello di Dio a Grand Hotel Excelsior: ormai Abatantuono è una garanzia per il produttore Mario Cecchi Gori e per i registi della nuova commedia. Quattro anni dopo arriva la svolta definitiva: Pupi Avati, che da sempre ha il fiuto del talent scout e si diverte a trasformare l’immagine dei suoi attori, gli offre un ruolo drammatico in Regalo di Natale (1986): è un successo immediato, confermato dal ritorno, insieme a Carlo Delle Piane, Gianni Cavina, Alessandro Haber in La rivincita di Natale, nel 2004.
Ciò che non passa inosservata è la duttilità dell’attore e del personaggio che ha una precisa identità nel mescolare con naturalezza ironia, comicità, serietà drammatica. E la Milano degli “immigrati” di seconda generazione lo porta quasi naturalmente al Teatro dell’Elfo fondato e diretto da Gabriele Salvatores. I due si intendono subito nonostante la diversa formazione e la dimensione intellettuale del regista delle “persone in fuga”. Sta di fatto che Salvatores chiama Diego già al suo esordio, nel 1987, per Kamikazen e poi ne fa un personaggio-simbolo per la trilogia che lo consacra: Marrakesh Express, Turné e Mediterraneo. È il film della consacrazion internazionale. Infatti, nel 1992 arriva la magica notte degli Oscar in cui la pellicola vince a sorpresa la statuetta per il Miglior film straniero. Con Salvatores il sodalizio dura senza incrinature: fondano insieme a Maurizio Totti la loro società di produzione, la Colorado Film che produce anche un fortunato spettacolo televisivo (Colorado Cafè). Salvatores e Abatantuono girano anche film di fantascienza distopica come Nirvana e drammatici come Io non ho paura, tratto dal romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti.
Regista e attore diventano perfino quasi parenti quando Abatantuono sposa la ex compagna di Gabriele. Intanto la carriera prosegue con le commedie popolari firmate da Carlo Vanzina, Giovanni Veronesi, Enrico Oldoini e i film d’autore come il memorabile Il toro di Carlo Mazzacurati, che nel 1994 Leone d’argento, premio speciale per la regia alla Mostra del cinema di Venezia. L’anno dopo figurano tra i protagonisti di Camerieri di Leone Pompucci Nel 2001 interpreta, insieme a Sergio Castellitto, Concorrenza sleale di Ettore Scola. Dopo cinque candidature al David di Donatello, nel 2021 riceve un premio alla carriera. Ha vinto tre Nastro d’argento: nel 1987, come Miglior attore non protagonista per Regalo di Natale di Pupi Avati; nel 1993, come Miglior attore protagonista per Puerto Escondido di Gabriele Salvatores; nel 2004, come Miglior attore non protagonista, per Io non ho paura di Gabriele Salvatores. Renato Franco, sul Corriere della Sera del 15 maggio scorso, lo pungola: “Tanti successi ma pochi premi”. Abatantuono risponde, con la proverbiale ironia: “Per Regalo di Natale si diceva che avrei vinto io, poi tutti insieme ex aequo e invece premiarono Carlo Delle Piane. In Per amore, solo per amore ad Alessandro Haber viene subito tagliata la lingua quindi è muto per tutto il film. Io ho parlato tutto il tempo, lui era muto, ma il David di Donatello lo ha vinto lui. È successo anche con Il toro: il toro ha fatto il toro, io ho recitato tutto il film e Roberto Citran ha vinto la Coppa Volpi”. Negli ultimi anni le apparizioni da comico puro per il piccolo schermo sono sempre più rare. Ha detto di sé: “Non rifarei mai il cabaret di una volta: sarebbe penoso. Preferisco il ruolo di maestro di cerimonia. Se hai sempre fatto il comico, ed entri in un ruolo drammatico aspetti cosa fa il pubblico: se piange, invece di ridere, ce l’hai fatta. Oggi in tivù ci vado a raccontare un film o a parlare di qualcosa che mi diverte come il calcio. Per il resto, la mia mossa alla partita a scacchi della vita è la coerenza”.
Aggiornato il 20 maggio 2025 alle ore 17:38