L’anabasi dalla mimesis all’aisthesis

Il paradigma del contemporaneo in Chigusa Kuraishi

In occasione della mostra temporanea Dialogo del vento e del mare di Chigusa Kuraishi tenuta il 12 maggio 2025 alle ore 18.00 presso l’Aula Magna del Palazzo Gallenga dell’Università per Stranieri di Perugia, riporto qui le parole della mia lectio magistralis che ha preceduto la presentazione del libro Il Paese delle nevi del traduttore Giorgio Amitrano, edito da Mondadori. All’evento è intervenuto anche il rettore dell’Unistrapg in apertura della presentazione.

“Quando pensiamo al dialogo, pensiamo inevitabilmente a uno scambio verbale tra due diverse persone. Persone che magari non si sono mai conosciute prima e che in ragione di ciò sentono il bisogno di confrontarsi. Il confronto tende a prendere forma al centro di una tensione tra opposti, e cerca dunque di connettere due stranieri tra loro.

Ecco che la presente mostra di Chigusa Kuraishi si intitola Dialogo del vento e del mare, come un raffronto tra due elementi che nella cultura scintoista giapponese designano l’uno (il vento) la natura umana transitoria e permanente, l’altro (il mare) la natura divina ancestrale e immanente. Il vento soprattutto è espresso nel complesso sistema rituale e mitologico orientale come messaggero di verità nascoste, mentre il mare come spazio incontingente del destino.

Chigusa coniuga nella sua pittura, in una forma abbastanza costante, proprio queste due dimensioni che potremmo definire diametrali, ma per questo tangenti nel punto in cui l’astrazione della forma precede la concrezione dell’idea.

Il processo creativo che subisce l’arte di Kuraishi è concepito non, come invece potrebbe apparire in una prospettiva logica, astratto da ogni dato naturale del reale, ma nasce proprio come atto eversivo politico del nostro piano sociale. La sua pittura magmatica e aerea riesce a concentrare, a radunare entro l’entità del colore la complessità del contrasto della parola, tra significante e significato. Il segno della sua pittura è una mimesi morale del dilemma. Da qui nasce la contesa ontologica tra il dibattere la passione e combattere la ragione sulla tela, che presta il titolo di Dialogo alla presente mostra.

Ma cosa è davvero la mimesis? Sull’esempio attuale di Kuraishi, potremmo dire che la mimesis non è solo imitazione del reale, ma un paradosso che convoglia molteplici meccanismi semiotici e semantici nell’atto del dipingere.

Auerbach, il filologo e critico letterario tedesco, nella sua Mimesis pubblicata nel 1946, tentava una sintesi del termine aristotelico come realismo, affermando in linea di massima che l’Occidente non ha mai veramente smesso di essere realistico nel concetto di Arte. Quella di Auerbach era ovviamente una prospettiva filologica che investiva tutta la letteratura occidentale come produzione artistica dell’uomo dall’antico sino al contemporaneo, che tuttavia non ignorava affatto da autentico storico e filologo qual era, le vicende delle avanguardie cubiste e futuriste di quegli anni.

Non era neanche casuale il fatto che egli avesse voluto pubblicare una monografia filologica sul concetto di realismo nell’età post-moderna mentre anche Mario De Micheli in Italia parlava di Realismo e poesia in un articolo pubblicato nello stesso anno. E sempre in quegli anni il pittore Otto Wolfgang Schulze dichiarava che:  L’immagine può avere una relazione con la natura come le fughe di Bach con Cristo. Quindi non c’è nessuna imitazione ma solo un’analoga creazione.

Nel febbraio del ’46 a Milano un folto gruppo di pittori e scultori tra i quali figurava anche Egidio Bonfante, Ennio Morlotti, Gianni Testori ed Emilio Vedova, pubblicò il cosiddetto Manifesto del realismo, al cui punto terzo dichiaravano che: In arte, a realtà non è il reale, non è la visibilità, ma la cosciente emozione del reale divenuto organismo. Realismo non vuol dire quindi naturalismo o verismo o espressionismo, ma il reale concretizzato nell’uno…misura comune rispetto alla realtà stessa.

In un clima in cui s’era dunque messo in discussione il paradigma dell’arte, che non sapeva più riconoscere la sua connessione col reale, ma anzi voleva astrarre il reale per ridurlo a realismo, ma infine scadendo in formalismo, vedi Guttuso ad esempio, esce puntuale lo studio di Auerbach sul Realismo col titolo di Mimesis. Sebbene quindi formalmente riferito alla letteratura, il volume del filologo aveva già acquisito i problemi dell’arte contemporanea, e li riversava nella questione implicita che riguarda il realismo come fenomeno a priori di ogni atto umano: la traduzione come atto eccelso della mimesis.

Ma se avessimo voluto d’altra parte assicurarci che fosse implicita l’opera d’arte nella sua totalità nel volume di Auerbach, sarebbe bastato in realtà rintracciare nella sua formula delle explications de textes un ascendente teoretico della Estetica di Hegel (per l’Arte come organismo morente in quanto umano) e della cosiddetta circolarità del comprendere di Schleiermacher.

Alla fine, la mimesis di cui parla Auerbach, e che è fondamentale recuperare per comprendere lo spirito creativo di Chigusa Kuraishi, è un vero e proprio atto di riscrittura poetica del tempo reale come modello universale per la civiltà umana. Per capire questo, Roncaglia dice che Auerbach abbia sceso le scale celesti di Leo Spitzer, siccome la sua lettura ermeneutica penetrava la spiritualità dell’autore.

La traduzione del reale che per Auerbach è l’opera d’arte, è però per Schleiermacher educazione all’estraneo, quasi nello stesso senso per cui Rambach diceva che Chi comprende Cristo, imita Cristo.

Non dimentichiamo i principi per cui fu creata questa sala, e per cui ancora adesso è l’aula magna dell’Università che ci ospita, per stranieri. Lo spirito primitivo dell’arte è quello di far rivivere l’uomo come estraneo alla verità, cioè di elevarlo dalla mimesis all’aisthesis, dall’imitazione alla sensazione. Soltanto questa elevazione offerta dall’arte ci fa conoscere l’alterità della verità, quella di cui parlava Dante nel Paradiso.

Riassumerei dunque l’astrazione di Kuraishi, nella sua sinuosità leggera, nella sua centrale tricromia del blu, oro e bianco, come la riflessione critica espressa nelle parole dello stesso Scheleiermacher riguardo alla traduzione: Permettere al senso di rimanere aperto anche a ciò che gli è meno affine.

Le opere di Chigusa permettono al senso umano l’apertura a ciò che ci è straniero anche in un tempo dove tutto ci sembra già conosciuto, dimenticando però che la verità è aliena all’uomo. Il dialogo invece, ci porta al dilemma della verità, e ci rende esteti, cioè sensori fatali del nostro destino, così come il protagonista del Paese delle Nevi.

Aggiornato il 13 maggio 2025 alle ore 17:22