Lo stupro come arma di guerra: il saggio di Sofi Oksanen denuncia la strategia russa

Nel saggio “Contro le donne. Lo stupro come arma di guerra”, l’autrice finlandese Sofi Oksanen offre una riflessione lucida, documentata e personale sul ruolo della violenza sessuale nella strategia bellica della Russia, non solo nei conflitti moderni, ma lungo tutto il XX secolo. L’autrice mostra come lo stupro sia stato sistematicamente impiegato come arma di guerra, non un effetto collaterale dei conflitti, bensì un metodo deliberato per sottomettere popolazioni, distruggere comunità e affermare potere.

Dal suo ingresso a Berlino nel 1945 all’invasione dell’Ucraina, l’esercito russo ha fatto delle violenze sulle donne e dello stupro una vera e propria arma di guerra.

Il punto di partenza del ragionamento è intimo e autobiografico. Oksanen racconta la vicenda della zia materna, vissuta nell’Estonia occupata dai sovietici, che fu prelevata di notte per un interrogatorio da cui tornò profondamente segnata, incapace di parlare di quanto accaduto. Questo episodio non è un’eccezione, ma un esempio emblematico di come le donne siano state vittime silenziose di un sistema che usava la violenza sessuale come forma di terrore.

Oksanen collega in modo diretto queste pratiche del passato alle atrocità commesse nel presente. Nell’invasione russa dell’Ucraina, la violenza sessuale non è solo un crimine sporadico, ma un tassello essenziale di una strategia genocida. Lo stupro viene usato per umiliare, disgregare i legami familiari, terrorizzare le comunità e spezzare la resistenza. Il corpo femminile diventa così un campo di battaglia, simbolo e vittima di una politica espansionistica fondata sulla sopraffazione.

L’autrice sottolinea anche come la narrazione pubblica e la propaganda svolgano un ruolo essenziale in questo processo. La violenza contro le donne viene normalizzata, negata o giustificata. Le vittime vengono taciute o ridotte a strumenti di propaganda.

Ma Oksanen non risparmia critiche nemmeno all’Occidente. Denuncia l’indifferenza con cui a lungo le democrazie europee hanno guardato al deterioramento dei diritti umani in Russia e nei Paesi ex sovietici, minimizzando l’importanza della violenza di genere come sintomo e strumento di autoritarismo. In questa complicità silenziosa, secondo l’autrice, si cela il fallimento di un’intera cultura politica.

L’autrice evidenzia come, se si compara la storia estone con la guerra in Ucraina, sembra di rivivere gli eventi degli anni Quaranta del secolo scorso. “È come se premessimo continuamente il tasto replay, visto che la Russia sta usando lo stesso manuale delle sue precedenti guerre di conquista. Abbiamo già visto e sperimentato queste pratiche: il terrore sui civili, le deportazioni, le torture, la russificazione, la propaganda, i processi farsa, le elezioni di mera facciata, le accuse contro le vittime, le ondate di profughi, la distruzione della cultura. Tuttavia, il generalizzato stupore occidentale mostra come il manuale dell’imperialismo russo non sia sufficientemente conosciuto altrove. È proprio questa sorpresa a dimostrare quanto sia necessario parlare dei crimini di guerra passati, perché vadano studiati, e perché debbano far parte della nostra memoria culturale permanente”.

Quando l’espressione “mai più” fu usata in Occidente dopo la Seconda guerra mondiale, suonò falsa alle orecchie di tutti coloro che avevano sperimentato le politiche repressive russe. Le violazioni dei diritti umani e l’occupazione da parte dell’Unione Sovietica continuarono anche dopo la caduta della Germania di Hitler.

Come spiega l’autrice: “C’è chi pensa che parlare di stupro possa far aumentare la violenza, e che quindi tacere possa, al contrario, evitare che si verifichi. Durante la Seconda guerra mondiale, molte persone hanno taciuto sui crimini dell’Armata Rossa. Molti hanno preferito non dire nulla durante le guerre in Cecenia e in Siria. E in parecchi hanno taciuto anche nella penisola di Crimea e sotto i regimi fantoccio dell’Ucraina orientale, che la Russia controlla dal 2014. Il che non ha impedito all’esercito russo di commettere nuovamente gli stessi crimini di guerra”.

Nel saggio vi è una chiamata alla responsabilità collettiva: non si può comprendere la guerra senza riconoscere l’uso della violenza sessuale come arma, né si può difendere la democrazia senza difendere i diritti delle donne.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

(**) Sofi Oksanen, Contro le donne. Lo stupro come arma di guerra, Einaudi 2024, pagine 272, 16,50 euro

Aggiornato il 05 maggio 2025 alle ore 15:06