
Una riflessione filosofica tra tomismo e Ia
Mi è particolarmente gradito tornare su queste colonne per rispondere al pregevole contributo dei professori Daniele Trabucco e Aldo Rocco Vitale, i quali hanno offerto una puntuale disamina delle mie precedenti osservazioni circa il rapporto tra Intelligenza artificiale e realismo gnoseologico. Desidero anzitutto esprimere sincera gratitudine per l’attenzione riservata alle mie riflessioni e per l’elevato livello argomentativo con cui hanno articolato la loro replica. Il dialogo che si è venuto a creare intorno a questi temi fondamentali risulta prezioso soprattutto per la profondità teoretica che lo caratterizza. I colleghi hanno correttamente individuato i due nuclei problematici attorno ai quali ruota la nostra discussione: da un lato, la questione gnoseologica del rapporto tra conoscente e conosciuto – o, in termini classici, tra pensiero ed essere; dall’altro, la possibilità futura dell'emergere di una cosiddetta “Ia forte”, dotata di una qualche forma di coscienza.
Trabucco e Vitale hanno sviluppato la loro argomentazione muovendo dalla difesa della gnoseologia tomistica quale paradigma ancora valido per comprendere i processi cognitivi umani e, conseguentemente, per valutare criticamente le potenzialità e i limiti dell’Intelligenza artificiale. Particolarmente significativa è la loro rivendicazione di un approccio monistico alla conoscenza che, evitando le cesure cartesiane, preserverebbe l’unità tra essere del conoscente ed essere del conosciuto. Quanto al secondo punto, i colleghi contestano la possibilità che una macchina possa mai essere dotata di autentica coscienza, distinguendo nettamente tra una eventuale “coscienza artificiale” – che sarebbe comunque un prodotto dell’ingegno umano e riducibile a un algoritmo complesso – e la coscienza propriamente umana, caratterizzata da qualità metafisiche irriducibili e non replicabili. La questione, naturalmente, richiede ulteriori approfondimenti che mi accingo a sviluppare, consapevole della complessità dei temi in gioco e della necessità di evitare tanto facili entusiasmi tecno-scientifici quanto aprioristici rifiuti metafisici.
IL NODO GNOSEOLOGICO: PENSIERO ED ESSERE
Venendo al primo e fondamentale punto della discussione, quello gnoseologico, concordo pienamente con i professori Trabucco e Vitale quando affermano la dimensione immediatamente ontologica di ogni discorso sulla conoscenza. Questa consapevolezza rappresenta un punto di forza della tradizione tomistica, che ha sempre cercato di pensare la conoscenza non come un processo astratto e autoreferenziale, ma come una dinamica inscritta nell’orizzonte dell’essere. Nella loro articolata risposta, i colleghi hanno correttamente evidenziato come Tommaso tenti, attraverso il realismo gnoseologico, di fondare una concezione della conoscenza che “conduce dall’essere del conoscente all’essere del conosciuto”, evitando così la frattura cartesiana che ha segnato così profondamente il pensiero moderno. Su questo punto, la mia concordanza è piena e convinta.
Ciò su cui, tuttavia, permane un disaccordo sostanziale è se l’Aquinate riesca effettivamente nell’intento che si prefigge. Il problema, a mio avviso, si annida proprio nella formulazione che i colleghi utilizzano: se la conoscenza deve “condurre” dall’essere del conoscente all’essere del conosciuto, questo implica che vi sia un’originaria separazione tra i due termini che la conoscenza stessa dovrebbe poi colmare. Ma è proprio questa presupposizione iniziale che ritengo problematica. La questione fondamentale, che il tomismo non riesce a risolvere in modo convincente nonostante i suoi meriti, è quella di pensare l’immediata (non mediata da alcunché) non-separazione tra il “chi” e il “cosa” della conoscenza, tra il pensiero e l’essere. Ciò che sostengo è di considerare “l’apparire dell’essere” (dove apparire è sinonimo spero non equivoco di pensiero, coscienza, soggetto, esserci) come il punto di partenza della riflessione gnoseologica, non come il punto d’arrivo a cui la conoscenza deve condurci. In questa espressione – “l’apparire dell’essere” – il genitivo è da intendersi sia in senso soggettivo (l’essere che appare) sia in senso oggettivo (l’apparire che è dell’essere), indicando così una co-appartenenza originaria che precede ogni dualismo.
Questo approccio permette di evitare tanto il realismo ingenuo quanto l’idealismo soggettivistico, poiché non presuppone né che l’essere sia qualcosa di estraneo che il pensiero deve raggiungere, né che l’essere sia una mera proiezione del pensiero. L’apparire è sempre già apparire dell’essere, e l’essere è sempre già essere che appare. Non si tratta di stabilire un ponte tra due realtà originariamente separate, ma di riconoscere che tale separazione è essa stessa derivata e non originaria. Non che i problemi finiscano qui, anzi al contrario solo a partire da qui si fanno avanti i “veri” problemi che riguardano il divenire (il continuo scomparire di ciò che appare) dell’essere.
La gnoseologia tomistica, pur nella sua sofisticata articolazione di intellectus e ratio, non riesce a mio avviso a compiere questo passo decisivo. Essa mantiene una distinzione tra il processo conoscitivo (con le sue operazioni di astrazione, giudizio e ragionamento) e il suo termine (l’essere delle cose), riproducendo così, seppur in forma attenuata, quel dualismo poi marcatamente presente da Cartesio fino a Immanuel Kant.
L’UNICITÀ DELL’INTELLETTO E LA MOLTEPLICITÀ DELL’ESPERIENZA
I professori Trabucco e Vitale hanno opportunamente richiamato la controversia tra Tommaso e gli averroisti circa la natura dell’intelletto, leggendola come un’anticipazione del dibattito contemporaneo sulla conoscenza. Vorrei ora soffermarmi su questo punto specifico, poiché offre un’ulteriore chiave di lettura della questione gnoseologica fondamentale. La polemica anti-averroista di Tommaso si concentra sulla confutazione dell’intelletto unico e separato, propugnando invece una concezione dell’intelletto come facoltà propria di ciascun individuo umano. In questa contesa teoretica si annida una questione che travalica il suo contesto storico e che conserva una straordinaria attualità: come pensare l’unità della conoscenza razionale senza sacrificare l’individualità del conoscente? In un certo senso, esiste un solo apparire dell’essere “attuale”, dove “attuale” indica ciò di cui si fa esperienza immediata – ovvero l’orizzonte trascendentale in cui ogni cosa si manifesta al conoscente. L’esistenza di altri intelletti – ovvero di altri “apparire dell’essere”, di altre coscienze – può essere dedotta o mostrata solo mediatamente. Non posso avere esperienza immediata dell’apparire dell’essere che caratterizza un altro soggetto.
TEMPO ED ETERNO: UNA RIFLESSIONE SULLA METAFORA DI GUARDINI
I colleghi citano opportunamente Romano Guardini, il quale definisce la coscienza umana come “la porta attraverso la quale l’eterno entra nel tempo”. Si tratta di una metafora di indubbia potenza evocativa, che merita di essere meditata con attenzione e rispetto. Guardini, con la sua caratteristica profondità spirituale e filosofica, ci offre unimmagine che intende illuminare il mistero della coscienza umana nella sua dimensione trascendente. Tuttavia, anche questa suggestiva formulazione si presta alla medesima critica che ho avanzato rispetto al rapporto tra pensiero ed essere nella gnoseologia tomistica. Se l’eterno “entra” nel tempo attraverso la porta della coscienza, questo presuppone una separazione originaria tra i due termini: da un lato un tempo che sarebbe originariamente privo dell’eterno, dall'altro l’eterno. Ma questa separazione non rischia di essere una premessa che contraddice se stessa?
Inoltre, l’immagine dell’eterno che “entra” nel tempo implica un paradosso: questo ingresso, in quanto evento, segnerebbe una cesura tra un prima e un dopo, collocando così l’eterno stesso nella dimensione temporale che dovrebbe trascendere. L’eterno diverrebbe temporale proprio nell’atto di entrare nel tempo. Non intendo con ciò sminuire l’intuizione di Guardini, che resta preziosa nel suo tentativo di esprimere l’inesprimibile. Propongo piuttosto di ripensare il rapporto tra tempo ed eterno non nei termini di un’entrata dell’uno nell’altro, ma come una co-appartenenza originaria che si manifesta nella coscienza. Forse la coscienza non è tanto la porta attraverso cui l’eterno entra nel tempo, quanto piuttosto il luogo in cui si rivela l’inseparabilità di temporale ed eterno, la loro reciproca implicazione che precede ogni possibile separazione concettuale.
SULLA POSSIBILITÀ DELL’IA FORTE: LIMITI EPISTEMOLOGICI
Vengo infine alla questione dell’Intelligenza artificiale forte, che rappresenta, per certi versi, l’aspetto relativamente più semplice della nostra discussione, in quanto direttamente dipendente dalle premesse gnoseologiche e ontologiche fin qui esaminate. Occorre anzitutto precisare che non sono io personalmente ad affermare che l’Ia possa in futuro costituirsi come autentica coscienza, nel senso di un “apparire dell’essere”. Piuttosto, è la scienza contemporanea, con il suo metodo ipotetico-deduttivo, e la filosofia attuale, nelle sue varianti relativiste, prospettiviste, decostruzioniste e anti-fondazionaliste, che non possono logicamente escluderlo sulla base delle loro stesse premesse epistemologiche. La scienza contemporanea, muovendo dal principio della fallibilità delle sue conoscenze e dall’apertura delle sue ipotesi verso continue revisioni e falsificazioni, non può pronunciarsi definitivamente sull’impossibilità di una coscienza artificiale. Analogamente, la filosofia post-metafisica, avendo abbandonato la ricerca di fondamenti assoluti e abbracciato la molteplicità dei paradigmi interpretativi, si preclude la possibilità di stabilire a priori cosa possa o non possa emergere dall’evoluzione tecnologica.
Il tomismo, al contrario, fondandosi su una metafisica dell’essere e su una concezione sostanziale dell’anima umana, dispone degli strumenti concettuali per escludere categoricamente che un artefatto tecnologico possa mai ospitare un’autentica coscienza. La sua forza argomentativa deriva precisamente dalla sua impostazione realista e dalla sua antropologia filosofica.
Tuttavia, desidero aggiungere un’ulteriore considerazione. Anche qualora si riuscisse a guadagnare per mediazione l’esistenza di coscienze “altre” rispetto alla coscienza attuale – l’unica di cui si possa avere esperienza originaria e immediata – il sapere umano naufraga inevitabilmente di fronte alla questione del “dietro cosa” si nascondono le coscienze altre. Questo problema non riguarda soltanto l’eventuale coscienza artificiale, ma investe ogni forma di alterità che si manifesta nel nostro orizzonte esperienziale. In linea di principio, dietro ogni fenomeno, ogni oggetto, ogni manifestazione dell’essere potrebbe nascondersi una coscienza altra, un apparire dell’essere distinto dal nostro ma inaccessibile alla nostra esperienza immediata.
Aggiornato il 28 aprile 2025 alle ore 11:49