Il “letteralismo”, l’Islam e la palestinizzazione dell’Occidente

Terza parte – L’Islam e la palestinizzazione dell’Occidente

Come si è visto, la disposizioneletteralista” verso il Corano caratterizza la maggior parte dei seguaci della religione islamica, e in particolare i sunniti. Il loro rapporto con gli esiti della cultura occidentale risulta sempre più insofferente ai suoi valori, sempre più complesso da gestire e sempre più caratterizzato da azioni violente. Rispetto al quadro di riferimenti "letterali" propri di un fedele islamico, certi comportamenti che caratterizzano la società occidentale suonano come delle vere e proprie bestemmie, così come suonerebbero alle orecchie di un cristiano di mille anni fa. Ma al contrario di quanto è accaduto al cristianesimo, anche in seguito al trauma ricevuto dal suo impatto con la modernità l’islam si è sempre più ancorato alla sua vocazione "letteralista", legandosi a un passato idealizzato, tanto che, come osserva ancora Élie Barnavi, “si è sclerotizzato nel Medioevo”.

La frase di San Paolo, per cui "senza la legge non v’è peccato", ci permette a questo punto di comprendere meglio perché, quando il rapporto con la legge è "letterale", non possano che essere letterali anche il peccato e la pena corrispondente. Così, se nel testo sacro è scritto che per l’infrazione di certi precetti è prevista la lapidazione, oppure il rogo, come a lungo è avvenuto nella nostra storia per estirpare il maligno da eretici e streghe, non c’è niente di cui dispiacersi, perché di fronte alla possibilità di discostarsi dalla "lettera della legge" e rispetto alla soddisfazione implicita nel suo appagamento qualsiasi altro stato danimo risulta fuorviante ed emotivamente sordo. E non meno "sorde", nel senso soggettivo dell’aggettivo, cioè incapaci di farsi sentire, possono risultare a riguardo le rimostranze della ragione, che per il solo fatto di rivendicare prerogative e diritti non secondari rispetto a quelle della "legge" da rispettare letteralmente costituisce già di per sé una virtuale istigazione al peccato. Così è stato per secoli nella storia del cristianesimo, e così è ancora oggi nella religione islamica, i cui seguaci, tranne poche eccezioni, non sono facilmente integrabili in una società imperniata sui valori della liberaldemocrazia, dato che questa fornisce di per sé un incessante esempio di quella trasgressione peccaminosa dei precetti coranici, tra loro spesso contraddittori, che è destinata ad essere avvertita come offensiva, pericolosa e destabilizzante, e pertanto da estirpare alla radice.

Certo, ci sono molte persone di fede islamica che sembrano perfettamente inserite nelle società occidentali, dove svolgono in pace il loro lavoro in maniera sinceramente collaborativa senza commettere reati di sorta. Si tratta di persone che spesso non hanno difficolta a integrarsi: come i seguaci di molte altre religioni, anche loro sono in grado di partire dal presupposto – dettato dal buon senso che permane sullo sfondo di molti esponenti di qualsiasi cultura o civiltà – che ogni fede religiosa riguarda essenzialmente la propria coscienza e che non ci sia quindi alcun fondato motivo per cui si debba entrare in conflitto con la mentalità di altri popoli che abbiano convinzioni diverse. Queste persone sembrano di fatto integrate, e questa circostanza sembra attestare la palese falsità della tesi che sostiene l’impossibilità di una loro integrazione sistematica.

In realtà così in effetti potrebbe essere, e in un certo senso, entro certi limiti, è davvero; ma lo è in modo effimero e precario. Infatti, coloro che invece percepiscono la cultura della società occidentale come implicitamente offensiva della propria fede "letteralista", e cioè gli islamisti, si sentono anche in dovere di estirpare e punire il male che i valori di questa società rappresentano. E gli islamisti, come è già più volte avvenuto in passato, seppur in sé minoranza sono in grado di porre tutti gli altri di fronte ad una scelta ineludibile: o con la "legge" o contro la "legge", o con l’islam o contro l’islam. Si tratta di un aut aut di fronte al quale qualsiasi esitazione sarebbe già di per sé peccaminosa e meritevole di una punizione esemplare per cui, dovendo scegliere, si può agevolmente prevedere il ripetersi di quanto già più volte avvenuto, e cioè lo schierarsi dei musulmani "moderati" con gli islamisti, o comunque il non opporsi in modo esplicito ed energico alle loro azioni e strategie. Può darsi che il trovarsi di fronte a simili alternative non rappresenti una condizione eterna. Può darsi che un giorno la scuola di pensiero mutazilita o un nuovo Averroè riescano ad avere il sopravvento su quella asharita, può darsi che un giorno ci sia davvero un "rinascimento islamico" che induca la maggioranza dei suoi seguaci ad abbandonare la versione "letteralistica" della loro fede, ma oggi una simile svolta non è all’orizzonte.

Di fronte a questa alternativa, oggi anche gli islamici che vengono definiti "moderati", e che tali effettivamente sarebbero e vorrebbero rimanere, non possono avere esitazioni di sorta, e tra chi combatte in nome della "lettera" del Corano e chi lo fa in nome di altri valori, laici o religiosi, non c’è alcun dubbio su quale sia il fronte che questi ipotetici "moderati" pensano di dover scegliere, e sebbene alcuni possano cercare di restare mimetizzati in una sorta di limbo per qualche tempo, di certo non potranno appoggiare chi osa schierarsi contro dei fratelli che impugnano la "lettera" del libro dell’Islam come una spada. Il timore di poter diventare un kafir, e cioè un infedele in senso assoluto, fa di qualsiasi normale peccatore un reietto virtuale agli occhi di Dio, e poiché la ragione umana non potrà venire in suo soccorso con alcuna mediazione, dovrà semplicemente scegliere: o con i fratelli musulmani o contro di loro e contro il Corano. Il cosiddetto islamismo moderato e quello più integralista non potranno dunque mai dividersi nel caso di uno scontro con altre religioni o altri sistemi di valori, e cioè di un impatto violento con i miscredenti, e la considerazione dell’appartenenza alla religione che fa riferimento al Corano prevarrà sempre, salvo le inevitabili eccezioni, su qualsiasi considerazione di tipo razionale o spirituale.

In questo scenario, si può forse comprendere perché qualsiasi aumento della presenza della popolazione islamica all’interno delle società occidentali non possa che determinare un aumento della loro conflittualità interna, che sarà proporzionale alla crescita della componente islamista. Il ricatto religioso esercitato da quella che è per ora solo una minoranza violenta sarà in grado di condizionare in modo decisivo il comportamento e lo stile di vita della maggioranza della popolazione musulmana, fino ad assimilarla di fatto o a sancire comunque la sua incapacità a reagire alla strategia dei gruppi più radicalizzati. Il disegno che molti di questi hanno da tempo annunciato, ovvero quello di conquistare l’occidente per assoggettarlo all’Islam, non potrà così più essere evitato senza quello scontro di civiltà paventato con largo anticipo da Oriana Fallaci, scontro che invece potrebbe ancora essere evitato se l’Europa e l’occidente democratico si assumessero la responsabilità di guardare in faccia la realtà, senza infingimenti opportunistici e senza cercare di far credere che sarebbe disumano qualsiasi filtro efficace all’immigrazione islamica, filtro che non può comunque prescindere da un serio controllo delle frontiere.

Ciò che sarebbe veramente disumano è invece il non fare quanto è ancora nelle nostre possibilità per evitare che si verifichi uno scontro di civiltà di tale portata, che potrebbe coinvolgere milioni di persone e trasformare presto l’Europa in una grande Palestina insanguinata, come purtroppo ormai da tempo sembrano auspicare molti intellettuali nostrani. Appartenenti per lo più alle ultime leve della formazione marxista in vigore nelle accademie di tutto il mondo occidentale, costoro sono infatti di solito cronici nemici della liberaldemocrazia: orfani di un proletariato pauperizzato che pare aver ormai esaurito la sua funzione rivoluzionaria, ne cercano da decenni un sostituto all’altezza e sembrano averlo finalmente trovato nelle masse di migranti islamici che per anni sono stati fatti arrivare anche sulle nostre coste confidando nella loro capacità di destabilizzare le malvagie società capitalistiche destinate a ospitarle.

L’aver riposto la loro ultima speranza di rovesciare il tanto odiato "sistema capitalistico" – espressione che storicamente ha avuto successo soprattutto per la sua capacità di designare in modo sottilmente dispregiativo le società liberaldemocratiche – proprio nell’islamismo, utilizzando dunque quell’elemento religioso che Marx definiva "oppio dei popoli" al posto della "classe operaia", in contrasto a quanto prevedeva il "materialismo storico", costituisce un’acrobazia ideologica improvvida e cinica. Se questa sta probabilmente facendo rivoltare nella tomba l’autore di Das Kapital e suoi più fedeli amici e seguaci, non scoraggia tuttavia chi ha sostituito a un’analisi seria e profonda, per quanto errata negli snodi cruciali, della società capitalistica una sua versione residuale e strumentale, essenzialmente volta al conseguimento del potere a qualsiasi prezzo, anche a costo di stipulare alleanze strategiche con movimenti e gruppi politici a forte vocazione antisemita e nazista, seppur sventolanti le insegne dei più nobili e alti valori politici e sociali come specchietti per le nuove allodole, sostanzialmente reazionarie e benpensanti.

(*) Leggi qui la prima parte e la seconda parte

Aggiornato il 28 marzo 2025 alle ore 12:39