
Qual è la lettura da dare a un giovane amore saffico del terzo decennio del XXI secolo? Il problema è sempre lì, nella confusione che regna sovrana, in età adolescenziale, in merito alla propria identità sessuale. Soprattutto, come accade nel film Dreams (in uscita nelle sale italiane il 13 marzo), scritto e diretto dal regista norvegese Dag Johan Haugerud, quando la protagonista Johanne (Ella Øverbye) è colta da un’estasi di innamoramento “carnale” per la sua insegnante di liceo Johanna (Selome Emnetu), realmente omosessuale, a insaputa della giovane studentessa diciassettenne. Tutto il film, in pratica, si condensa in lunghi dialoghi e monologhi che hanno per oggetto le immagini passionali sublimate di chi, come Johanne, vorrebbe passare a una relazione vera di coppia con la figura adulta di Johanna. L’insegnante, però, mostra una diffidenza istintiva per un rapporto pericoloso, sia sotto il profilo dell’immagine professionale, nonché sul piano penale, essendo la studentessa minorenne, così come verrà chiarito nell’epilogo, in un confronto sereno ed equilibrato tra Johanna e la madre della ragazzina. La storia si articola sostanzialmente su tre livelli di complessità e di prossimità (figlia, madre e nonna), rispetto alla passione nascosta di Johanne, costretta a mentire alla famiglia, pur di frequentare la casa della sua insegnante.
Il piano della narrazione poggia interamente sullo squadernamento progressivo, all’interno del ristretto gineceo di figlia, madre e nonna, di un diario segreto in cui la protagonista ha inteso catturare per sempre i suoi momenti passionali non corrisposti con Johanna, disseminandoli di fantasie erotiche descritte con grande freschezza di tratto e di immediatezza emotiva. Quello che accade assomiglia molto a un gioco di carambola sul piano simbolico degli affetti, in quanto la prima a leggerne integralmente il testo è la nonna Karin (Anne Marit Jacobsen), scrittrice di romanzi rosa di un certo successo, che scopre così il talento letterario della nipote e il segreto che la tormenta e la fa star male, fino a portarla a una depressione latente. Una passione tra la studentessa e Johanna impossibile da rivelare all’interno del gruppo di pari, che frequentano la sua stessa classe, con i quali Johanne intrattiene un rapporto affettuoso, soprattutto nei confronti delle sue due amiche più strette, passando con loro lunghi periodi nella baita di famiglia di una delle ragazze. Colpita la prima palla dell’attenzione della nonna, a seguito della rivelazione del diario, non c’è che da attendere nella dinamica dei percorsi obbligati che quest’ultima a sua volta vada a colpire la terza, quella di sua madre Kristin (Ane Dahl Torp), basita da una lettura che, ovviamente, le toglie in fiato.
In quanto genitore, infatti (cosa che capita praticamente a tutti coloro che hanno figli adolescenti), è costretta ad ammettere a se stessa di aver colto solo le apparenze comportamentali della propria figlia, non avendo nessuno scandaglio per entrare in profondità nella sua vita sentimentale segreta. Molto simbolico, a questo punto, è lo svolgersi delle dinamiche (approfondite con attenzione esasperante dalla regia) tra le due donne adulte, nonna e madre, in cui la prima, essendo stata una figlia dei fiori ante litteram negli anni Sessanta, si mostra molto più aperta ai tormenti omosessuali della nipote, grazie ai suoi strumenti culturali e letterali più sofisticati di quelli a disposizione di sua figlia Kristin. Assai interessata quest’ultima, una volta accettato come un dato di fatto la passione viscerale di Johanne per la sua insegnante, a monetizzare quel diario sconvolgente per farne un best seller di successo.
E, per tutte e tre le protagoniste, questo argomento della pubblicazione del libro-diario costituirà il punto vero e finale di confluenza della storia, mentre i dialoghi nel bosco tra nonna e madre ricostruiranno con grande precisione lo scontro intergenerazionale precedente, tra le ventenni degli anni Sessanta e quelle degli anni Novanta. Nel mezzo, si trovano notazioni brevi ma raffinate sulla composizione della società norvegese, a partire dall’urbanistica dei quartieri e della loro vocazione orientata alla separatezza e alla compartimentazione in-comunicante tra le varie classi sociali e di reddito. Interessante, per gli addetti ai lavori, è la gestione della crisi di Johanne da parte dello psicologo (Lars Jacob Holm), incaricato di aiutare la protagonista a superare il trauma dell’abbandono e della fine della relazione platonica con Johanna, andata sposa a un’altra donna dopo aver cambiato città. Film decisamente un po’ troppo lento e, per la parte emozionale, eccessivamente intellettualizzato.
Aggiornato il 04 marzo 2025 alle ore 16:01