Oscar 2025, l’indipendente “Anora” vince a sorpresa 5 statuette

Anora, Palma d’oro a Cannes, trionfa anche agli Oscar 2025. Il dramedy agrodolce vince 5 statuette su sei candidature. Il successo del lungometraggio rappresenta la rivincita del cinema indipendente d’autore sui blockbuster. Sean Baker (nella foto in alto) ha fatto la storia conquistando da solo, in una sola serata, quattro premiMiglior film, regia, sceneggiatura e montaggio – alla pari di Walt Disney (ma per quattro film diversi). Il quinto Oscar assegnato al film è appannaggio della Miglior attrice Mikey Madison. Il film ha incassato appena 15,6 milioni di dollari al box office nordamericano ma è probabile che il successo lo faccia svettare. Anora è una produzione low budget, con attori praticamente sconosciuti. È il trionfo dell’indie su produzioni kolossal, cast stellari, Intelligenza artificiale tra gli effetti speciali. Per questo il successo di Anora fa ancora più notizia, sebbene l’aver vinto tutti i premi delle associazioni di categoria (produttori, registi, attori) aveva fatto capire dove stava girando il vento, almeno per quest’anno. Il film mette in scena una commedia divertente, storia d’amore e dramma che è già stato paragonato ad una Pretty Woman aggiornata agli anni venti del duemila. Al centro c’è Anora detta Ani (Mikey Madison), giovane sex worker di Brooklyn, che si ritrova per soldi da un giorno all’altro escort per un cliente giovanissimo e ricchissimo: Yvan detto Vanja (Mark Eidelstein), figlio di un oligarca russo, abituato a vivere in un fiume di soldi e a godersela in una villa blindata da mille e una notte tra sesso, alcol e droga.

La storia va avanti raccontando la vita nella casa a tre piani con guardie del corpo al seguito. Vanja offre ad Ani 15mila dollari per una settimana di compagnia, ma poi il ragazzo si innamora o meglio si incapriccia di Anora e la sposa a Las Vegas. E lei pur sulle difensive è coinvolta. E qui entrano in scena i russi che, non senza stereotipi e con effetti comici, si muovono pesantemente per azzerare la relazione seguendo le direttive telefoniche del padre e della madre del ragazzo furibondi a Mosca. Il matrimonio va annullato e ci pensano i criminali da operetta, capeggiati da un sacerdote armeno ortodosso (Karen Karagulian) e con in squadra anche Jurij Borisov e Vače T’ovmasyan, pazzoidi gorilla. “È importante analizzare cos’è il lavoro sessuale in questo momento e come si applica alla società capitalista. È un lavoro che dovrebbe essere rispettato e allo stesso tempo depenalizzato e non regolamentato in alcun modo, perché riguarda il corpo di una prostituta e sta solo a lei usarlo per il proprio sostentamento”, aveva detto Sean Baker che sul palco del Dolby Teatre ha voluto rivolgersi alla comunità dei sex worker che ha illuminato con Anora: “Questo premio lo condivido con voi”.

Sono sfumate quest’anno le speranze per l’Italia: dopo l’esclusione di Vermiglio di Maura Delpero dalla cinquina dei film internazionali neanche Isabella Rossellini, candidata per Conclave di Robert Harris, ce l’ha fatta. È stata una débâcle per Emilia Perez, la produzione francese recitata in spagnolo di Jacques Audiard, arrivata alla notte delle stelle con 13 nomination: solo le vittorie di Zoe Saldana come Miglior attrice non primaria e di El Mal come canzone originale hanno salvato Netflix dall’umiliazione. Anche il premio per il Miglior film internazionale, che solo poche settimane fa sembrava scontato, è andato all’antiautoritario brasiliano Io sono ancora qui di Walter Salles. In sala, Karla Sofía Gascón, la star trans spagnola che coi suoi tweet razzisti di un quinquennio fa ha silurato le chance del film, è stata bersagliata di battute dal comico Conan O’Brien alla prima conduzione dello show: “Se twitti su stasera, mi chiamo Jimmy Kimmel”, ha ironizzato col nome del suo predecessore sul palco della notte dei premi. The Brutalist di Brady Corbet, un altro favorito con dieci candidature, ha portato a casa tre statuette: Miglior fotografia (Lol Crawley), colonna sonora (Daniel Blumberg) e soprattutto Miglior attore protagonista con Adrien Brody (al secondo Oscar, 22 anni dopo la vittoria per Il pianista di Roman Polański): “Rappresento il trauma della guerra, la sistematica oppressione e l’antisemitismo e il razzismo.

Credo e prego per un mondo più sano e più inclusivo. Se il passato è un insegnamento, non lasciamo che l’odio continui a esistere senza opposizione”, ha detto Brody, strappando il premio a Timothée Chalamet, l’altro frontrunner di A Complete Unknown di James Mangold, sul Bob Dylan giovane. Kieran Culkin ha vinto come Miglior attore non protagonista per A Real Pain di Jesse Eisenberg. Mille ringraziamenti punteggiati da parolacce hanno provocato gli strali e le censure della Abc che mandava in onda negli Usa la diretta. Lo show, nelle intenzioni dell’Academy doveva essere apolitico ma una battuta di O’Brien, prendendo lo spunto da Anora, ha preso di mira Vladimir Putin: “Immagino che gli americani saranno eccitati nel vedere che qualcuno finalmente resiste a un russo potente”, ha detto alludendo al personaggio interpretato dalla Madison. Nel mondo in subbuglio di oggi i conflitti si sono inevitabilmente fatti strada. Se il sostegno all’Ucraina è stato limitato – la spilletta di Guy Pearce, candidato per The Brutalist, lo Slava Ukraine della presentatrice Daryl Hannah – la causa di Gaza è finita al centro con la vittoria del documentario di un collettivo israelo-palestinese No Other Land, sulla distruzione di un villaggio della Cisgiordania, che ancora negli Usa non ha trovato un distributore. “Siamo interconnessi. Non saremo mai sicuri se gli altri non sono sicuri”, hanno detto i cineasti chiedendo al mondo di fermare “la pulizia etica” del popolo palestinese. Lungo il segmento In Memoriam aperto da Morgan Freeman in omaggio all’amico Gene Hackman, coprotagonista nel film Gli spietati di Clint Eastwood.

Aggiornato il 04 marzo 2025 alle ore 11:12