Fino al 2022 lo scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger ha pubblicato oltre sessanta opere fra romanzi, pezzi teatrali, saggi, poesie. Aveva un forte carattere autonomo gli ha consentito di rifiutare offerte accademiche prestigiose per rimanere libero di indirizzare critiche anche durissime ad interi settori della società tedesca.

All’interno di questo impegno civile di critica sociale e politica, lo scrittore pubblica nel 1993 un volume di settantuno pagine che analizza le implicazioni, tuttora di attualità, derivanti dalla fine del bipolarismo. Fu un libro denso e scomodo che suscitò molte polemiche. Gli equilibri mondiali instabili posto bipolarismo avevano aperto la via ad una serie impressionante di conflitti locali spesso cruenti e molti sconosciuti alle cronache giornalistiche o opportunamente sottratti all’attenzione dell’opinione pubblica.

A pagina tre l’autore non usa preamboli. Apre il testo con l’affermazione per la quale la Guerra civile spagnola è stata una prova generale della Seconda Guerra mondiale. Ma osserva anche che la guerra civile può considerarsi un disastro senza fine, senza una scadenza che si realizza con trattati di pace.

Interessante l’osservazione riportata a pagina 27 dove afferma che la globalizzazione ha avuto l’effetto immediato di aumentare vertiginosamente il numero degli sconfitti che sono entrati nel limbo delle “masse superflue”. Si tratta di espulsi dai contesti civili perché non vale più la pena di sfruttarle. Si afferma decisamente che i conflitti sono un mezzo per attuare pulizie etniche e lo spopolamento all’interno di uno scenario economico in deindustrializzazione creando territori fuori controllo percorsi da “teppisti travestiti da estremisti di destra” e da ondate di immigrati illegali (pagina 40).

Come negli scenari di molti film americani, le città sono suddivise in quartieri alcuni dei quali fortificati per proteggersi dalle migrazioni economiche. Coloro che non possono fuggire altrove si barricano dentro vaste aree che assomigliano a campi di concentramento al contrario disponendo di grandi quantità di armi. Il cinico ritiro progressivo dello Stato come tutela della sicurezza consente la proliferazione di milizie private a protezione degli impianti e delle strutture aziendali da saccheggi improvvisi.

Insomma, abbiamo la celebrazione della super violenza già prefigurata dal film predittivo Arancia meccanica di Stanley Kubrick nel 1971. I media provvedono con solerzia ad una sovraesposizione dei rituali di violenza urbana vissuti come una proiezione rituale del video (pagina 51) ma anche come una passerella che garantisce vasta notorietà di breve durata ai terroristi.

L’autore non risparmia di evidenziare l’imbarazzante inutilità degli organismi internazionali come l’Onu dove sono iscritti Paesi che, al loro interno, hanno azzerato i diritti umani. Non esita a smascherare l’ipocrisia occidentale che promuove l’universalismo e l’eliminazione delle differenze, senza incidere seriamente per ottenere tale obiettivo (pagina 55).

Molto importante è la descrizione del concetto di “trappola morale” che induce alla onnipresenza ed infine alla onnipotenza. Le catene televisive e la stampa sono casse di risonanza del disagio sociale e suscitano emulazione del crimine.

Il cittadino è spettatore impotente davanti all’orizzonte degli eventi. Non ci sono soluzioni efficaci ma solo ipocrisia moralistica (pagina 59) e fuga di responsabilità riassunta nel mantra “non è colpa nostra”.

La crisi dello Stato come apparato amministrativo nasce dalla constatazione che si pretende troppo dai regimi politici. Gran parte delle missioni di pace sono prive di efficacia. I convogli umanitari sono saccheggiati riducendo al minimo la quantità di alimenti alle popolazioni martoriate. Verso le quali l’Occidente esercita un infinito “imperialismo morale” assicurato da un interventismo infinito (pagina 65).

Un’altra considerazione che mostra un aspetto odioso dell’interventismo universale e permanente è la selezione dei feriti e dei malati da curare per primi, in presenza di risorse limitate. Insomma, una certificazione dell’eterno stato di emergenza del futuro.

Il volumetto è denso di riflessioni in gran parte di sconvolgente attualità. L’autore ci fa capire che la persistenza dei problemi, mai risolti e sempre rinviati, conferma che i politici dedicano i loro sforzi per stare in sella.

Il testo è un manifesto di opposizione critica immune da condizionamenti bigotti e/o ideologici.

Prospettive di guerra civile di Hans Magnus Enzensberger, edizioni Einaudi (1994), pagine 76

Aggiornato il 25 febbraio 2025 alle ore 13:03