![Visioni. “Io sono ancora qui”, un apologo umanista contro le dittature](/media/8310449/di-falco-1-38.jpg?crop=0.11167279411764706,0,0.12316176470588233,0&cropmode=percentage&width=370&height=272&rnd=133840270190000000)
Vent’anni dopo I diari della motocicletta, la sua opera più celebrata, con Io sono ancora qui Walter Salles gira il suo film più intimo. Il lungometraggio racconta la storia dignitosa di una madre coraggio che non si arrende al silenzio del regime. Migliore sceneggiatura all’81ª Mostra del cinema di Venezia 2024, Golden Globe 2025 alla Migliore attrice in un film drammatico alla superlativa Fernanda Torres, Io sono ancora qui è candidato a tre Oscar: Miglior film, Miglior film internazionale e Miglior attrice (Torres). Il lungometraggio è ambientato nel 1971. L’ex deputato progressista Rubens Paiva (un appassionato Selton Mello) vive a Rio de Janeiro, insieme alla famiglia. Al suo fianco figurano la moglie Eunice Facciolla (Torres) e i cinque figli (quattro femmine e un maschio). Nonostante il Brasile si trovi nella morsa della dittatura militare, i Paiva affrontano il dramma collettivo con ironia e affetto, condividendo la quotidianità con amici e parenti. Ma un giorno, la famiglia è vittima di un’azione violenta da parte del regime. Eunice resta senza il marito Rubens, prelevato dalle autorità per un interrogatorio. Passano i giorni ma dell’uomo non si hanno più notizie.
Walter Salles torna dietro la macchina da presa dodici anni dopo il suo film precedente, il discutibile On the road. Il cineasta, convinto che la letteratura rappresenti un formidabile strumento contro l’oblio, ricostruisce la scomparsa di Rubens Paiva (padre del futuro scrittore Marcelo Rubens Paiva), ex deputato del Partito laburista, arrestato, trucidato e fatto sparire dall’esercito nel 1971. Il Golpe del 1964 ha estromesso Rubens dalla vita politica e ha instaurato una dittatura militare che inquieta l’intero Paese. Marcelo, all’epoca appena undicenne, racconta una storia personale di cui non comprende pienamente la portata storico-politica. Il regista narra la storia di una grande casa di famiglia che si trova a pochi metri dalla spiaggia. Una casa animata in maniera vitale e colorata da amici, da figli di amici, fidanzati. Nella vita, in apparenza spensierata della famiglia Paiva, la presenza della dittatura brasiliana appare quasi fuori campo, attestata solo attraverso i servizi del notiziario. Ma l’ombra del regime diventa sempre più incombente, visibile. L’apologo umanista contro tutte le dittature racconta la storia di una famiglia dilaniata che non si rassegna alla violenza, all’omertà e alla burocrazia di un regime spietato.
La messa in scena sobria e diretta non sfiora mai il melodramma. La narrazione, che mostra un dolore non esibito, scevro da ogni facile retorica, sposa il punto di vista di Eunice. Il fine ultimo della donna è il riconoscimento dell’assassinio di Stato del marito ordito dalla dittatura militare. La donna, conducendo un’esistenza esemplare, governa una famiglia borghese che rifugge il vittimismo ma chiede, con eroica pervicacia, risposte ufficiali sulla fine di Rubens. Salles narra gli effetti devastanti di una pagina buia della storia brasiliana su una famiglia dai sani principi democratici. Il film si divide in tre parti: la prima, la più lunga, racconta il drammatico 1971. La seconda, ambientata nel 1996, certifica in maniera formale l’assassinio di Stato. La terza, ambientata nel 2014, racconta la forza dell’unione familiare nonostante il tempo che passa, i traumi, gli incidenti, le malattie e le nuove gioie. Le sequenze d’apertura del film che mostrano la gioia familiare sono presaghe dell’orrore successivo.
Tuttavia, Salles lavora per sottrazione. Lascia intendere, nascondendo volutamente le scene brutali. Decide si concentrarsi sulla ricerca della verità. È lontano dalla violenza iperrealista scorsesiana perché è ossessionato dalla protervia burocratica dello Stato militare. Dedito alla rappresentazione degli spazi sterminati brasiliani, Salles, pur optando per un registro espressivo severo, dimostra il proprio riconosciuto talento visivo anche nella ricostruzione di una vicenda che si svolge, in gran parte, in luoghi oscuri, chiusi, oppressivi. Caratterizzato da una narrazione classica, cadenzata da un ritmo riflessivo ma efficace, Io sono ancora qui, pur essendo indubbiamente uno straordinario film politico, offre un memorabile ritratto femminile all’insegna della costanza, della lotta, della dignità. La Eunice di Torres è una moglie devota, una madre premurosa che sacrifica il proprio dolore per proteggere la serenità dei figli e un’indagatrice inflessibile che vive il dramma della perdita e dell’incertezza senza timore, tenendo fieramente testa all’esercito. Il film, orgogliosamente teso, rivolgendosi al cuore e alla testa dello spettatore, più che un racconto di formazione si compie come un racconto di trasformazione.
Aggiornato il 14 febbraio 2025 alle ore 17:16