“The Brutalist”, un film dall’ambizione smisurata

The Brutalist di Brady Corbet è già un film di culto. Il lungometraggio interpretato da Adrien Brody esce in sala giovedì 6 febbraio distribuito da Universal Pictures International Italy. Reduce dal successo veneziano, dove ha vinto Leone d’argento – Premio speciale per la regia andato a Corbet, l’opera è candidata a 10 Oscar: Miglior film, Miglior regista a Brady Corbet, Miglior attore ad Adrien Brody, Miglior attore non protagonista a Guy Pearce, Miglior attrice non protagonista a Felicity Jones, Miglior sceneggiatura originale a Brady Corbet e Mona Fastvold, Miglior fotografia a Lol Crawley, Miglior montaggio a Dávid Jancsó, Miglior colonna sonora originale a Daniel Blumberg, Miglior scenografia a Judy Becker e Patricia Cuccia. Intanto, ai Golden Globes ha vinto tre premi: Miglior film, regia e attore protagonista, Adrien Brody. Il film, della durata di 215 minuti, racconta, tra poca realtà e molta fantasia, l’odissea dell’architetto ebreo ungherese László Tóth (Adrien Brody). La storia melodrammatica, esaltata dalla pellicola 70 millimetri e dalla musiche di Daniel Blumber, di quest’uomo sopravvissuto all’Olocausto, di questo genio tormentato, problematico, drogato e forse anche abusato che emigra in America nel 1947, lasciando l’amata moglie malata (Felicity Jones) in Europa.

Negli Stati Uniti inizialmente vive in estrema povertà finché incontra un singolare mecenate tanto pieno di sé quanto poco intelligente (Guy Pearce), che gli dà un incarico importante che potrebbe finalmente riscattarlo. Questo solo l’inizio di una incredibile vita piena di alti e bassi che fa riferimento a La fonte meravigliosa, romanzo del 1943 della scrittrice russo-americana Ayn Rand e poi film con Gary Cooper, con la vicenda umana di un architetto rivoluzionario contro il conservatorismo dell’establishment. The Brutalist, in applaudite anteprime in 70 millimetri a Roma, Bologna. In architettura, il termine brutalista è applicato a un particolare uso del cemento armato (béton brut) e le sue opere sono caratterizzate da enormi strutture del tutto disadorne, simili a blocchi spesso impilati uno sull’altro e questo vale anche nel film dove c’è un gigantismo emotivo e strutturale senza troppe sfumature. “È in fondo un dramma del Ventesimo secolo – ha detto il regista statunitense Corbet – ci sono stati tanti architetti, ad esempio del Bauhaus, che non hanno potuto esprimersi e in quest’opera ho immaginato la storia virtuale di uno di loro. È un film in fondo dedicato agli artisti che non hanno mai realizzato la loro arte”. E ancora Corbet: “Ci ho lavorato ben sette anni. Per quanto riguarda poi la lunghezza di un’opera, personalmente credo che non ti compri un libro di settecento pagine se non lo merita. Il prossimo film potrei farlo di quarantacinque minuti”. “Il mio personaggio di László Tóth era così ben scritto che mi sono trovato subito bene ad interpretarlo – ha detto Adrien Brody tra i favoriti all’Oscar quest’anno – Ho pensato poi a mia madre che ha avuto una vita simile: lei e i miei nonni, sono venuti in America dall’Ungheria come il mio personaggio, anche lui è un immigrato ungherese tutta la loro lotta, le difficoltà che hanno passato”.

Aggiornato il 04 febbraio 2025 alle ore 16:51