Il giardino dei Finzi Contini oggi torna nelle sale cinematografiche. Il capolavoro di Vittorio De Sica viene mostrato per la prima volta in versione restaurata in 4K, in occasione della Giorno della memoria. Il film vince l’Orso d’oro a Berlino nel 1971 e, l’anno dopo, l’Oscar al Miglior film straniero. Distribuito da Filmclub Distribuzione di Minerva Pictures il lungometraggio, tratto dall’omonimo romanzo di Giorgio Bassani, racconta dal 1938 al 1943 le vicende dei Finzi Contini, ricca famiglia ebrea dell’alta borghesia di Ferrara. Oltre ai premi, ai complimenti e al grande successo di pubblico il film raccoglie però all’epoca anche critiche da parte dello stesso Bassani. Due grandi critici lo giudicano in maniera opposta: Morando Morandini (Il Messaggero) contesta la rappresentazione eccessivamente melensa e pressapochista della realtà storica, mentre Tullio Kezich (Corriere della Sera) lo definisce uno dei migliori lavori del regista da molti anni a quella parte. Bassani, che nel libro racconta una parte della sua vita e della sua famiglia, coopera alla stesura dei dialoghi e della sceneggiatura (firmata da Vittorio Bonicelli e Ugo Pirro), ma dopo alcuni malintesi e disaccordi, entra in aperto conflitto con la produzione anche perché nel film la relazione tra Micòl e Malnate, con tanto di scena erotica, viene resa esplicita (elemento narrativo assente nel romanzo). Bassani probabilmente non ama troppo l’immagine “compromessa” della sua adorata Micol e comunque chiede e ottiene che venga tolto il suo nome dai titoli di coda del film.
Cosa racconta il film? La storia di una famiglia ebrea che nel 1938 deve fare i conti con le leggi razziali che provocano l’espulsione degli ebrei dal circolo del tennis della città. Così i Finzi Contini consentono agli amici dei due figli Micòl (Dominique Sanda) e Alberto (Helmut Berger), segretamente omosessuale, di frequentare il parco della propria villa dove c’è un campo da tennis. Fra questi figurano anche Giorgio (Lino Capolicchio, nei panni dello stesso Bassani), da sempre innamorato di Micol, e il comunista milanese Giampiero Malnate (Fabio Testi). Si ricordano alcune scene di culto: il protagonista Giorgio che, entrato segretamente nel giardino della villa, scopre la relazione segreta tra Micòl e Malnate. Altra scena forte ritrae l’intera famiglia Finzi Contini che viene semplicemente prelevata in casa dai repubblichini e condotta in una scuola. Vittorio De Sica qui dà il meglio di sé: per i Finzi Contini nessuna stanza di tortura, né carcere fatiscente, ma solo l’umiliazione di dover trovare un posto a sedere in un’aula piena di ebrei. Infine, il memorabile dialogo del film: quello del padre di Giorgio (un gigantesco Romolo Valli), fascista pentito, che dice al figlio: “Nella vita, se uno vuol capire, capire veramente come stanno le cose di questo bizzarro mondo, deve morire almeno una volta. E allora, meglio morire da giovani, quando uno ha tanto tempo davanti a sé, per tirarsi su e resuscitare. Capire da vecchi è molto più brutto, sai. Come si fa? Non c’è mica il tempo per ricominciare da zero. E la nostra generazione ne ha prese talmente tante di cantonate”.
Aggiornato il 27 gennaio 2025 alle ore 17:59