L’onnipresente apparato tecnico, scientifico e burocratico

Oltre un secolo fa, ormai, Friedrich Nietzsche parlava della morte di Dio, e dell’avvento di un uomo nuovo. L’ultimo uomo era l’essere della medietas, che aveva barattato l’onore, la gloria e l’ebbrezza dell’ambizione con le comodità della vita quotidiana, della poltrona e della piccola passeggiata con il cane, la cui principale occupazione era mantenere salda la salute – potremmo dire un uomo appiattito sulla “nuda vita”, per dirla con Giorgio Agamben. Dal tempo di Nietzsche in poi non ci sono stati segnali profetici e nemmeno sociali circa una rinascita o resurrezione di Dio, tanto che addirittura qualche filosofo come Bernard-Henri Lévy scrive che ormai siamo nel tempo del testamento di Dio, cioè in un tempo ulteriore che viene dopo la sua morte. Ma se Dio non c’è più, chi ne ha raccolto il testimone? A giudicare dalle dinamiche politiche e sociali dell’ultimo ventennio si desume che chi possa avere l’ardire di raccogliere tale luminosa eredità può essere l’onnipresente apparato tecnico, scientifico e burocratico, che forte dei suoi sacerdoti profani, soprattutto quelli appartenenti alle caste biomedicali, sembra diventato il centro di una rinnovata fede fondata sui risultati di una baldanzosa ragione dimentica delle umane fallibilità. Una scienza e una medicina che, grazie alla loro forza calcolante, sembra che tutto possano raggiungere e misurare avvicinandosi così a una delle caratteristiche peculiari di Dio: l’onniscienza (peraltro ispirando un atteggiamento di reverenza quando si tratta di risultati scientifici in generale che ha sostituito il vecchio bigottismo dandoci in compenso una pletora di tecnocrati atei o agnostici la cui autorità si avvicina a quella dei sacerdoti medievali).

Il Medioevo. Già, quest’epoca ormai diametralmente opposta alla nostra, con i suoi San Tommaso, San Francesco e i suoi papi in competizione con il potere temporale. Con la sua contemplazione, i suoi monasteri, e la filosofia e l’eterna lotta tra poteri inquieti. Sembra un tempo così lontano e inconciliabile di fronte all’atteggiamento modernista e scientista del nostro. Come noto il Medioevo aveva i suoi eccessi ideologici, la sua inquisizione e il suo dogmatismo che però è stato messo in crisi grazie alla mentalità scientifica, ai Galileo Galilei, Isaac Newton e ai Francis Bacon. Ma tale mentalità moderna oggi rischia di incancrenirsi e diventare un nuovo dogmatismo su base scientifica altrettanto ottuso. Il modo di pensare laico, razionale e scientista può diventare altrettanto rigido e dogmatico di quello di cui storicamente ha preso il posto. Se il sapere scientifico si salda con l’apparato di potere burocratico, se questo colosso monolitico che tutto calcola nel nome dell’onnipotenza della ragione, nel segno del There Is No Alternative, perché tutto è già stato misurato e previsto, cosa ne sarà della libertà e della capacità dell’intelletto umano di ideare vie di uscite o alternative di fronte alla datità del reale? Se si dimentica l’esercizio critico e l’apertura mentale della messa in discussione dell’esistente, il rischio è quello di un nuovo dogmatismo 2.0 e di una fede appiattita su scienza e medicina, che rischiano di diventare una livellante struttura non più in sintonia con le persone.

Eppure l’ideologia su cui puntano i cultori della scienza e dell’apparato tecnico scientifico vive su una debolezza di fondo. È costruito su un edificio, quello razionale, che è suscettibile a errori ed evidenti imprecisioni, come la fallibilità delle teorie scientifiche che non riposano su una uniformità di risultati comprovanti, ma soltanto su una larga maggioranza di esperimenti che perlopiù offrono un intervallo di risultati simili. Il metodo scientifico è quello dell’ipotesi sostenuta fino a prova contraria, dunque quanto di più lontano dall’arroganza di un sapere chiuso su sé stesso. Tale metodo inoltre rigetta l’eccezionalità e dimora al più nella generalità, in ciò che in linea di massima può verificarsi, ma come insegnano i suoi maestri mette da parte le eccezioni, le eccedenze e tutto ciò che è al di fuori della medietà che tale metodo misura. È un metodo che vive per ciò che si registra perlopiù, nella superficie, non dimora nel profondo. Pertanto l’apparato tecnico scientifico non è mai un fine, forse neanche nella mente immaginifica dello scienziato più visionario può esserlo, ma sempre e solo uno strumento per conoscere il mondo che è alla mano, che ci appare nella cura quotidiana del nostro fare pratico, per cui attraverso di esso possiamo costruire delle istituzioni materiali che ci danno riparo da quello che tale apparato può prevedere nelle sue manifestazioni pratiche negative.

Non si può assolutamente parlare di scienza come dio del nostro tempo perché l’esperienza religiosa è un fatto che inserisce la totalità del reale, anche le regioni dell’essere che il metodo scientifico si sforza di ignorare. Questa constatazione ci fa capire che siamo lontani da qualsiasi ipotesi di un sapere razionale come nuovo credo religioso, perché come qualsiasi teologo potrebbe testimoniare al Dio appartiene oltre alla già richiamata onniscienza una trascendenza rispetto alla condizione umana, la quale è sempre soggetta a eventi che vanno al di là della sua comprensione. Malgrado tutto il suo potere calcolante, il dispositivo della ragione non può parlare al cuore degli esseri umani, perché mai nessuna scienza, nemmeno la psicologia o il suo ramo più raffinato, la psicoanalisi, ha mai saputo aprire un discorso riguardo quale sia il destino dell’uomo. Per questo nessuna scienza umana, matematica o tecnologica potrà mai arrogarsi il diritto ad essere il centro di una nuova fede, per la semplice ragione che non riesce a riguardare la parte più profonda della vita umana. Quando pensiamo alle ragioni per cui ci troviamo a esistere, al perché siamo qui su questa terra, alle nostre speranze, paure, incertezze ci rendiamo conto che come esseri umani, nella nostra finitezza, siamo esposti a una precarietà che nessuna scienza può colmare, un vuoto di certo che però può essere riscaldato dalla speranza che una provvidenza ci guidi, una ragione superiore ci orienti che fino ad oggi nessuna scienza matematicamente assistita è mai riuscita a prevedere o a imitare.

Aggiornato il 18 dicembre 2024 alle ore 12:39