Arrivata l’11 dicembre sulla piattaforma, la serie tivù tratta dal capolavoro di Gabriel García Márquez sta incontrando il favore del pubblico.
“Molti anni dopo, di fronte al plotone d’esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía avrebbe ricordato quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva portato a conoscere il ghiaccio”. È il famoso incipit del romanzo capolavoro testualmente riportato nelle prime sequenze della serie targata Netflix. I primi 8 dei 16 episodi complessivi sono disponibili sul gigante dello streaming e sono già saliti in vetta alla classifica della piattaforma. È una delle produzioni televisive più costose e impegnative della storia latinoamericana, con un tempo organizzativo di ben 6 anni da quando sono stati ceduti dalla famiglia i diritti, inizialmente si pensava di farne un film. È stata girata lungo la linea delle montagne della Sierra Nevada in Colombia, patria dello scrittore. I figli di García Márquez non solo hanno dato la loro approvazione ma hanno avuto parte attiva nel progetto. In ogni episodio una voce fuori campo, che talvolta rievoca fedelmente il romanzo, è stata una scelta voluta e ragionata.
Sembrava impossibile portare in tivù il romanzo di Gabo, e invece la complessità di Macondo, il mondo magico e senza tempo creato dello scrittore colombiano hanno preso visibilità e colore. Un adattamento fedele sotto molti aspetti. Ma la serie si prende delle licenze di sceneggiatura, accorcia, aggiusta, a modo suo, perché questa storia deve essere adattata in modo che abbia senso come prodotto televisivo diviso in episodi. Per i puristi sarà divisivo, ma mantiene alta la parte onirica e magica. Un’opera con la storia di sette generazioni della stessa famiglia, un secolo di narrazione e un uso delle parole che rendevano ancora più difficile adattarla per lo schermo. Se la stesura del romanzo ha richiesto a Marquez 18 mesi ininterrotti, le riprese della serie sono durate ben 16 mesi. Della possibilità di creare un film da Cent’anni di solitudine se ne parlava da anni, ma mai prima d’ora, lo scrittore colombiano aveva voluto cedere i diritti del suo capolavoro, anche perché temeva che gli americani potessero ridimensionare quello che, in fin dei conti, è sempre stato un ritratto allegorico della Colombia.
I registi Alex García López e Laura Mora si sono divisi la direzione degli episodi, riuscendo a integrare nella quotidianità qualsiasi riferimento all’onirico. Ogni componente della vita è incluso in un disegno più ampio, esattamente come in Marquez. Dalla solitudine del titolo, vera tragedia e maledizione di famiglia, all’amore sensuale, definito da José Aureliano come una peste. E la tensione tra questi due sentimenti non abbandona mai i protagonisti. La storia si apre tra le mura di un edificio in decadenza, su un corpo in decomposizione preso d’assalto dalle formiche. Una mano accarezza le pagine di libri polverosi, fitte di disegni e simboli misteriosi. In un villaggio sperduto della Colombia, si festeggia il matrimonio tra José Aureliano Buendía (Marco Antonio González) e Ursula Iguarán (Susana Morales). I due sposi sono cugini. Si racconta che un’unione tra consanguinei abbia generato un neonato metà bambino, metà maialino. Ursula è talmente spaventata da queste superstizioni da indossare la cintura di castità. I mesi passano: José Aureliano alleva galli da combattimento mentre sua moglie ricama e cucina. Durante una delle gare, l’animale di José vince contro quello di Fulgencio Aguilar.
Aggiornato il 16 dicembre 2024 alle ore 17:33