L’altra Francesca Fagnani racconta “Mala Capitale”

Domenica scorsa, al Teatro Artemisio “Gian Maria Volonté” di Velletri, si è raccolta una nutritissima platea, tutto esaurito, per ascoltare Francesca Fagnani. È vero che la Fagnani con il suo programma Belve, in onda stasera, come ogni martedì su Rai 2, alle 21.20, è assurta a personaggio del tivù system, ma era una serata gelida e piovosa e tanti saranno stati tentati dal restare a casa. Poi qualcosa li ha portati lì, numerosi, per rispondere agli inviti di Guido Ciarla e Aurora De Marzi, i quali per celebrare i vent’anni della Mondadori Book Store di Velletri hanno costruito un panel di autori, tra cui la serata con Francesca. La Fagnani è in libreria con un titolo duro: Mala. Roma criminale, edito da Sem. Come si concilia il profilo della giornalista dei divi graffiante e non scontata con l’investigatrice delle periferie romane, l’indomita della Suburra, la cronista implacabile che ha raccontato il volto più inquietante della Roma delle gang dopo la Banda della Magliana? L’altra Fagnani, insomma, a cui “la diva di Belve” fa da scudo.

“Morte che genera morte, delitti che innescano vendette, omicidi che si assomigliano, per la dinamica dell’esecuzione, per il contesto in cui maturano, perché la mano di chi preme il grilletto è sempre la stessa. Non è Tijuana, no: è Roma”. L’estratto campeggia sulla quarta di copertina. Nel libro Francesca parte da un fatto di sangue che ha segnato una data: l’esecuzione, il 7 agosto 2019 di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, nel parco degli Acquedotti. “Provare a capire le ragioni di quell’esecuzione – ha spiegato la giornalista-scrittrice – significa non soltanto indagare su uno degli omicidi di maggior peso tra quelli avvenuti nella Capitale negli ultimi anni, ma serve soprattutto a disegnare lo scacchiere della criminalità romana. Piscitelli-Diabolik non era solo il capo degli irriducibili della Lazio ai vertici della batteria Ponte Milvio, era la punta dell’iceberg di una rete di organizzazioni criminali che governano sul territorio”.

In un’ora filata, intervistata dal giornalista Antonio Pascale, di fronte a un pubblico muto e a tratti sgomento, la Fagnani ha descritto la Roma violenta, dall’Ostiense a Tor Bella Monaca, le zone buie di Anzio e Nettuno, che la Capitale monumentale, della politica, delle ambasciate, dei cinema e dei teatri. Invece è proliferata in una connection tentacolare che dalla malavita storica si è assestata sul narcotraffico. È il punto fermo dell’inchiesta narrativa. Ci lamentiamo dell’illegalità, dei giovani violenti, dei casi di nera che si susseguono, ma abbiamo idea di quale piazza di spaccio sia diventata la Città Eterna? Francesca Fagnani ha lavorato a lungo nei giornali e nelle tivù, è cresciuta alla scuola di Mixer di Giovanni Minoli, è stata inviata speciale di Michele Santoro, conosce periferie, intrecci, ha seguito giovani nelle carceri minorili, sa come si struttura la devianza, come i ragazzi scivolano nell’unico sbocco.

È una certosina che lavora sulle carte dei magistrati, ha una tecnica per incrociare i dati delle Forze dell’ordine con i dettagli, le fonti ufficiali con le sue testimonianze. Racconta come le Forze dell’ordine abbiano sventato una gigantesca partita e domanda al pubblico: “Quanti chili secondo voi?”. Il pubblico è al buio. “Una tonnellata”, rivela l’autrice. Da qui le gang, le guerre per il controllo, nel libro le voci urlano e la violenza è spietata. Quando riferisce delle torture e delle esecuzioni, in platea cala il silenzio. Lei non ha avuto paura? “Sono fortunata”, ha spiegato Francesca. “Ho una esposizione mediatica che accende una luce, ma penso anche ai tanti colleghi che nelle province, nelle cittadine, nelle vie e nelle piazze pericolose si calano nei fatti, fanno un lavoro esemplare e a volte pagano”. Non è l’unico lato autentico della bionda intervistatrice.

L’altra Fagnani è anche colei che la malavita la conosce e quindi invoca la scuola come speranza di legalità e palestra di valori. Racconta particolari inediti. Il sistema di telefoni criptati con cui comunicano i boss, spiega che i capi la droga non la toccano, sono igienisti e palestrati, ma con la cartella sanitaria pronta da tossicodipendente perché se li prendono così finiscono nelle comunità. Duecento pagine di profili, storie e virgolettati. La politica? “Bisogna stare attenti – ha avvertito l’autrice – a non generalizzare. Per esempio nell’inchiesta inizialmente definita Mafia Capitale il reato di mafia è decaduto. La politica ha responsabilità sulle leggi e sull’amministrazione del tessuto sociale e territoriale, ma queste gang vanno al di là della politica e il traffico di stupefacenti è un circuito internazionale”.

Dal libro Mala sarà tratto un film e una serie tivù. La fiction non esalta eroi negativi, cioè le Suburre del cinema e della tivù non rischiano di generare fenomeni emulativi? “Il rischio c’è sempre, tuttavia non si diventa spacciatori per una serie. Io penso che il pubblico sia sempre migliore di come si pensa”. Un’inchiesta scorrevole e autentica, con suspense ma senza moralismi, che non tira la volata, che non politicizza, testimonia la “Roma mala” che si estende tra criminalità romana, nuove gang di stranieri e disintegrati intorno al narcotraffico, che scavalca le economie e travolge la società. Un dito puntato emerge alla fine della lettura: se c’è chi spaccia, c’è chi consuma.  

(*) Mala. Roma criminale di Francesca Fagnani, Sem libri, 240 pagine, 18 euro

Aggiornato il 10 dicembre 2024 alle ore 13:10