La grande letteratura riesce a cogliere e decifrare i lati reconditi dell’animo umano e a mostrare come abbia origine la passione umana. Sándor Márai, nel suo libro intitolato Bébi, il primo amore, edito dalla casa editrice Adelphi, indaga con sguardo penetrante l’animo di un maturo professore di liceo. La narrazione, che si dipana in questo magistrale libro in forma di diario, si apre con il professore che medita sul rapporto tra la vita interiore e ciò che va annotando nel suo taccuino, riconoscendo che è difficile descrivere i movimenti dell’animo umano. Nella prima pagina, il professore ammette di avare attraversato una sorta di crisi nervosa, che lo ha indotto a lasciare la sua casa e la sua città, per recarsi nella stazione termale di Viragfured. Provando nostalgia per la sua giovinezza, riconosce che se avesse avuto maggiore forza di volontà, forse sarebbe riuscito a mettere su famiglia, visto che nutriva una grande interesse per la giovane J. A causa degli errori che ha commesso, e a distanza di anni questo gli appare innegabile, J. l’ha perduta per sempre. Con malinconia constata che nella sua vita non è mai successo niente, e di questo fatto è lui l’unico responsabile, e non il destino, a cui il professore non crede.
Il senso della solitudine, che avverte mentre è nel letto dell’albergo situato nella stazione termale, è accentuato dalla convinzione che non ha nessuno, il professore, che condivida qualcosa con lui. Nella stazione termale vi sono pochi ospiti, perché, secondo il parere del gestore, il posto è passato di moda e non è più frequentato come avveniva in passato. Contemplando la magnificenza del paesaggio e la bellezza presente nella natura, il professore si rende conto di avere dentro di sé un vuoto enorme, che spiega la nevrosi di cui è vittima. Nella sala del ristorante della stazione termale, il professore conosce ed ha un dialogo con una persona, il cui aspetto non lo rassicura affatto. Timar, che il gestore non stima e che designa con il titolo di segretario, è una persona che ha una conversazione profonda con il professore di liceo. Per Timar la solitudine somiglia ad una malattia che viene colta da chi è integrato nella società e si gode la gioia della esistenza.
Per Timar questa malattia consiste nella solitudine colpevole, colpevole in senso astratto, perché si tratta di capire se dipenda da noi oppure sia indipendente dalla nostra volontà. Per superare questa condizione di colpevole solitudine i rimedi sono due, secondo Timar: l’amore, o la fede assoluta in Dio. Questi sono valori condivisi, giacché sono professati dagli uomini pienamente realizzati. Infatti presto o tardi, ogni esistenza è destinata ad naufragare. Per evitarlo bisogna amare qualcuno, altrimenti, secondo il pensiero di Timar, tutto si rivela inutile. Rientrato nella sua città, il professore ha ripreso le sue lezioni al liceo, dove spiega le Odi e le Satire di Orazio, e la storia di Roma attraverso l’opera di Tacito. In questo periodo si sente pervadere da una assoluta tranquillità. Tuttavia, poiché il suo collega Halasi è stato nominato vicepreside in un’altra città, al professore è stata assegnata una classe mista, la ottava, in cui vi sono giovane donne, che lo mettono a disagio. Meszaros, che ha perduto l’unico figlio che aveva, attribuisce il miglioramento del rendimento scolastico della intera classe, alla influenza positiva esercitata dalle giovani studentesse.
Il professore di latino, che vive con una governante anziana, si accorge che le sue abitudini di vita, le lezioni al liceo, il pranzo in trattoria, le passeggiate pomeridiana, non riescono a cancellare il sentimento della tristezza che gli invade l’animo. Il preside del liceo viene messo sotto accusa dal professore di storia, Peter Szilassy. Szilassy si dimette dall’incarico, poiché secondo la sua visione all’interno dell’istituto scolastico il preside ha creato un sistema di controllo fondato sulla delazione, per controllare la vita privata dei docenti, tanto che ha scoperto che il professore Meszaros ha una relazione adulterina con una giovane vedova che vive in periferia. Peter Szilassy ammette che voleva fare l’insegnante per plasmare attraverso lo studio della storia la personalità degli studenti, rendendoli uomini nuovi e liberi. Per lui il sistema scolastico è troppo potente. Madar, che proviene da una famiglia povera, è lo studente più dotato, tanto da impartire lezioni private di latino e matematica alle sue compagne di classe, le belle studentesse Cserey e Neumann.
Quando il professore si accorge che vi è una relazione sentimentale tra Madar e Cserey, inizia inspiegabilmente a provare antipatia per il giovane studente, a cui aveva in precedenza regalato un cappotto. Cserey, che attraverso una lettera privata indirizzata alla ragazza e scoperta dal professore di latino nel quaderno, Madar chiama Beby, possiede uno sguardo dolce e sensuale, che ha una notevole potere di seduzione e fascinazione verso il professore. In particolare, nel suo taccuino il professore nota che le sopracciglie di Cserey sono lunghe ed arcuate, e hanno una linea sottile, che conferisce al suo volto una espressione delicata. Quando oramai è prossimo alla pensione, mancano solo quattro settimane, e pensa in preda al tormento che non potrà più rivedere la sua allieve prediletta Cserey, il professore si taglia la barba, acquista un abito nuovo, si preoccupa di migliorare il suo aspetto per darsi un’aria giovanile.
A volte, con l’animo dominato dalla solitudine, il professore ha l’impressione che tutto quello che è riuscito a fare nella sua vita, e tutto quello che non è successo, forse perché è stato troppo debole oppure vigliacco, formi un insieme compiuto che gli pare avere un senso ed un significato sul piano esistenziale. La passione che prova per la giovane studentessa, bella e sensibile, si trasforma nel suo animo di uomo maturo in un tormento insostenibile, tanto da indurlo a ritenere che nessuno, né gli uomini, né Dio, né la legge può consentire che un proprio simile debba languire in una sofferenza così dolorosa e insensata. Belle nella parte finale del libro le riflessioni sulla bellezza e sul mistero dell’amore. La conclusione del libro è sorprendente ed emozionante. Un libro che conferma la capacità di Sándor Márai di indagare in modo magistrale la natura sfuggente dei sentimenti e la genesi della passione umana, un capolavoro letterario.
(*) Bébi, il primo amore di Sándor Márai, traduzione di Laura Sgarioto, Adelphi 2024, 256 pagine 19 euro
Aggiornato il 20 novembre 2024 alle ore 12:51