“Non è concepibile un buon fotografo che non conosca la pittura, che non abbia l’umiltà di ammettere che la luce l’abbiamo imparata dai pittori”. Pino Settanni, il fotografo pugliese noto come “il Caravaggio dell’obiettivo anni 70-80-90”, ci ha lasciato un messaggio con cui confrontarci. L’occasione è stato un incontro sul libro Pino Settanni. Il sogno infinito. Una biografia, edito da Marsilio Arte e Archivio Luce-Cinecittà, scritto dalla giornalista Lorella Di Biase, con la collaborazione di Monique Gregory Settanni, moglie dell’artista scomparso nel 2010. Il dibattito ha avuto luogo all’interno di Art X Peace presso il Museo Civico Umberto Mastroianni di Marino, alla presenza del vicesindaco Maria Sabrina Minucci (“la fotografia ci aiuta a scolpire la memoria”), dell’assessore alla Cultura Pamela Muccini (“questi incontri stimolano l’espansione artistica”), del direttore dell’evento Ferdinando Colloca e dell’autrice-giornalista, la quale ha sottolineato i punti salienti dell’artista. “Se non avessi studiato Caravaggio e il Cinquecento tedesco non avrei mai fatto le fotografie che faccio”, ha scritto la Di Biase nel volume (oltre 200 pagine di aneddoti e foto) che ripercorre le tappe, gli incontri, i successi di questo maestro della fotografia contemporanea.

Pino Settanni nasce a Grottaglie, in provincia di Taranto, nel 1949, ma presto si affranca dal destino di operaio degli altiforni Italsider per affrontare prima la Torino delle fabbriche, poi la Roma fervente e controversa degli anni Settanta, dove sbarca col suo bagaglio di ritratti di paesaggi e personaggi del Sud. La sua peculiarità emerge subito: riconoscere il protagonista nell’individuo, che sia egli noto come i tanti che ha immortalato, ma anche anonimo come i volti resi celebri. Un’anticipazione è la foto scattata dal diciannovenne Settanni all’amico dell’Italsider, al quale era nata una bambina. Quell’uomo barbuto, a torso nudo, con la neonata stretta al petto, diventa un’immagine simbolo che anticipa i fermenti della parità, al punto che la psicologa Simona Argentieri sceglie la foto dell’operaio-papà come immagine del suo volume Padre materno. Siamo nel 1968.

Famiglia umile, studi di base, il giovane pugliese con la corona di riccioli neri e gli occhi verdi mobili è “ambizioso e conscio del talento”, come scrive la Di Biase. Nel 1973 Settanni arriva a Roma e si insedia in quell’area che va da piazza del Popolo a Via Margutta e a Via del Babuino, “il posto dove accadevano le cose” e dove nei bar s’incontravano Giorgio de Chirico e Federico Fellini, passavano da Giorgio Amendola ad Antonello Trombadori e, soprattutto, dove cresceva la “scuola di piazza del Popolo”, la transavanguardia di Mario Schifano, Franco Angeli e Tano Festa. Pino, da buon intraprendente, si presenta alla musa dell’epoca, Novella Parigini, che lo incarica di fotografare la figlia undicenne e gli dà le prime “quarantamila lire”. “Sono il biglietto d’ingresso per il palcoscenico dei vip e i primi soldi per una stanzetta sui tetti dei pittori”, sottolinea Ferdinando Colloca.

In Via Margutta c’è anche Monique Gregory, coriacea e avvenente francese, che ospita nella sua galleria gli artisti in voga. “All’inizio non ne volevo sapere di quel giovane spavaldo”, racconta nel libro la compagna di una vita. “Poi mi lasciai sedurre e, tra alti e sbalzi, siamo stati sempre uniti”. Monique Gregory aveva una stretta amicizia con Renato Guttuso e sua moglie Mimise, ma Pino Settanni era troppo orgoglioso per farsi spianare la strada e così, con un’indubitabile abilità nelle relazioni, fece tutto da solo. Incontrando per caso il pittore siciliano davanti al Senato, dopo averlo fulminato con lo sguardo avvolto nell’inconfondibile sciarpa rossa sormontata dai capelli bianchi, gli propose un viaggio per immagini nella sua Sicilia. Prima che “l’artista della Vucciria” ci riflettesse Settanni era già nell’isola con l’obiettivo puntato. Ne nacque Sicilia di Guttuso (Edizioni della Bezuga, 1980), un volume che mette in parallelo le opere dell’artista con gli ambienti siciliani. E segna l’inizio di un sodalizio speciale, anzi filiale, perché Pino Settanni, da quel 1980 fino alle nozze con Monique nel ‘93, è stato accanto al maestro sempre. I pomeriggi nello studio romano di Palazzo del Grillo, a Palermo, o d’estate nella villa sotto il Monte Rosa di Mimise. Come fotografo-pittore, come fidato assistente, come acuto consigliere, come amico di “sigaretta, whisky e carte”. È proprio Pino uno dei personaggi ritratti da Guttuso in Giocatori di scopone, tela del 1981. Quelle numerose scene di vita e pagine di vissuto sono raccolte in Guttuso: fotografia quotidiana, pubblicato da Mazzotta nel 1984.

In questi anni anche io, giornalista a caccia di storie e personaggi, ho conosciuto Pino Settanni. Era il periodo della post dolce vita e dei salotti romani, quello della nobile Maria Angiolillo e della contessa Marta Marzotto, le grandi influencer della politica e del jet set, alle cui corti si potevano incontrare da Alberto Moravia a Massimo D’Alema, da Giovanni Spadolini a Giulio Andreotti e poi scrittori come Alberto Arbasino, scrittrici come Dacia Maraini, attori, registi, femministe e il gotha romano. Com’è ben detto nella biografia, Pino in quel mondo effervescente ci stava “come un pesce nella propria acqua”. Poi sarà che io ero figlia d’arte (mio padre era stato fotografo di scena sui set di Luchino Visconti e Roberto Rossellini) con Pino facevamo lunghe chiacchierate tecniche. Fiutavamo il cambiamento. Ricordo che Settanni si era dedicato allo studio del volo degli uccelli e aveva fotografato gli stormi per ricavarne particolari geometrie, raccolte in Voligrammi (Nuova Foglio, 1976). “Era un modo di mettere ordine nel caos”, scrive la Di Biase. Si manifestavano i primi capovolgimenti, dietro ai dorati anni Ottanta s’intravvedevano l’individualismo e il consumismo, mentre avanzava la rivoluzione del digitale. Per essere famosi non bastava stare sulla scena, occorreva diventare “iconici”. E questa è stata la grande intuizione di Settanni, concretizzata nelle due più rappresentative produzioni: i ritratti con sciarpa rossa e i ritratti in nero… con oggetto, dal 1990 al 1989. Una galleria di immagini dei più significativi protagonisti “tutti” identificati da un oggetto simbolo, rivelatore del mondo intimo, interiore, parallelo.

Dopo il matrimonio con Monique, un viaggio nell’Urss, un anno a Parigi, il distacco da Guttuso, Settanni torna a Roma e sente l’esigenza di aprire uno studio: “È una portineria in via Ripetta 226, 7 metri per 4, 5 di altezza, con un grande finestrone”, racconta la moglie gallerista. “Qui Pino è stato molto felice”. E qui è nato l’artista, il maestro, il mago. Del sodalizio con Guttuso gli era rimasto non poco e in particolare “l’iconica sciarpa rossa” che il pittore gli aveva regalato. Il fotografo ne intuisce la rappresentatività e il messaggio. Ottenuto un appuntamento con Marcello Mastroianni, vinta la sua proverbiale pigrizia, Settanni lo raggiunge ad Erice a Mare, dove l’attore si ritira nelle pause della lavorazione di Stanno tutti bene di Giuseppe Tornatore (1990). Con sé ha portato la sciarpa in cachemire, che fa indossare sventolante a Mastroianni, il quale, pantaloni neri e pullover panna, cammina sulla spiaggia gialla contro l’azzurro del mare e del cielo. “Un fotografo sente quando ha la foto che vuole, con Marcello questo mi accadde quasi subito, perciò smisi di fotografarlo”, racconterà Settanni in un’intervista a Giampiero Mughini. “Abbiamo già finito?”, gli chiede Marcello.

Quello scatto diventerà “lo scatto di Settanni”, una fotografia che ha fatto il giro del mondo, che è stampata in formato gigante su un’intera facciata della Casa del cinema di Roma. Soprattutto “la sciarpa rossa” diventa l’elemento fisso della serie “Ritratti”, indossata da Federico Fellini, Mario Monicelli, Nino Manfredi, Carlo Verdone, Mariangela Melato, Franco Nero, Antonio Corvino, Sergio Cereda, Enrico Montesano, Moni Ovadia, anche il sociologo Domenico De Masi e la giornalista Lilli Gruber. In Via Ripetta si fa la fila per essere ritratti da “maestro Pino”, il quale – come si diceva all’inizio – coltiva la lezione caravaggesca sulla luce e sul nero in ritratti con oggetto. Dove finisce la pittura e dove inizia la fotografia? “Pino ha camminato su questo sottile confine”, spiega Lorella Di Biase, autrice della biografia. “Ha più volte avuto la tentazione di mollare la macchina e dedicarsi alla pittura, ma alla fine ha accolto la sua missione di fotografo-pittore. Non che non abbia avuto riconoscimenti e successo, ma la fotografia ancora oggi in Italia è in secondo piano e per una fama alla Henri Cartier-Bresson o Man Ray bisogna andare all’estero. Anche se negli ultimi anni di vita si sono susseguite le esposizioni e Pino stava lavorando a un progetto per la Biennale”. Intanto, i protagonisti delle serie fotografiche guadagnavano la fama di opere d’arte. Non più solo volti famosi, ma soggetti in movimento. Celebre l’immagine di Federico Fellini che getta in aria le matite, Giulio Andreotti con la sua collezione di campanelli, Sergio Leone con l’orologio da taschino, Carlo Verdone alla batteria, Ennio Morricone davanti alla scacchiera con una sola pedina come un re solo. E poi il primo piano di Sophia Loren, le rose di Monica Guerritore, la Olivetti lettera 22 di Lina Wertmüller fino alla galleria di immagini di Giuliana De Sio, di cui Settanni diventa il fotografo personale.

Nella produzione dell’artista non mancano “i nudi” della serie Vizi, pene e tinte forti del ‘94, una ricerca su corpi e identità, ma anche qui si distingue la ricerca iconica: celebre l’immagine che ritrae Vittorio Sgarbi svestito e che diventa, nel 1993, la copertina del settimanale L’Espresso. E non manca l’obiettivo puntato sugli scenari di guerra, quando Settanni spinge la sua ricerca in Afghanistan, dove colori e burka suggeriscono rielaborazioni digitali e note intimiste, da cui nasce il cortometraggio Kabul le donne invisibili, presentato nel 2002 al Festival di Locarno. “Quello di Settanni è davvero un sogno infinito”, scrive Lorella Di Biase, che a lungo ha viaggiato nella memoria di uno dei protagonisti degli “invidiabili anni Ottanta”, fervidi di creatività e di stimoli, forse irripetibili, ma da non dimenticare.

(*) Pino Settanni. Il sogno infinito. Una biografia di Monique Gregory Settanni e Lorella Di Biase, Marsilio Arte e Archivio Luce-Cinecittà, 248 pagine, 23,80 euro

Aggiornato il 19 novembre 2024 alle ore 12:51