Soffiate, venti, e rompetevi le guance! infuriate! soffiate!
Voi cateratte e uragani, eruttate
Finché non avrete sommerso i nostri campanili, annegato i galli sui tetti!
Voi fuochi sulfurei e veloci più del pensiero,
Avanguardie di fulmini che fendono le querce,
Bruciate la mia testa bianca! E tu, tuono che tutto scuoti,
Spiana la spessa rotondità del mondo!
Infrangi gli stampi della Natura, distruggi tutti i semi
Che fanno l’uomo ingrato!
(Re Lear, Atto terzo, seconda scena)
Con queste parole il sovrano di Britannia implora i venti di distruggere tutto ciò che rende l’uomo ingrato. Re Lear è la tragedia in 5 atti, scritta tra il 1605 e il 1606 da William Shakespeare. Il dramma trae dalla mitologia britannica e si riferisce al re, originariamente Leir, vissuto nell’VIII secolo avanti Cristo in un periodo poco precedente alla fondazione della Città eterna. Al Teatro Quirino-Gassman di Roma a riportare in scena (fino al 17 novembre) quella che è considerata una delle migliori opere del bardo inglese è Alessandro Preziosi, il quale del suo Aspettando Re Lear (adattamento di Tommaso Mattei) ha firmato la regia ed è l’interprete principale, insieme con Nando Paone. “Una versione contemporanea”, si legge nelle note di presentazione. Infatti, il Lear di Preziosi, rompendo la tradizione scenica e scenografica, presenta un’inusuale ambientazione affidata alle opere del Maestro dell’arte povera Michelangelo Pistoletto. L’altra novità sono sicuramente le scelte musicali di Giacomo Vezzani, che da anni collabora con l’attore-regista, le quali conferiscono un sottofondo pop con richiami che vanno dai Pink Floyd alle contemporanee melodie. Terzo elemento innovativo sono i costumi iconici realizzati dal collettivo Fashion Best con materiali sostenibili. Tuttavia, a parte queste rotture e originalità tipiche dello “spettacolo immersivo”, il Re Lear in scena al Quirino non può fare a meno di essere la metafora voluta dal suo inventore, Shakespeare.
La riduzione di Preziosi si ispira anche al capolavoro di Samuel Beckett Aspettando Godot, del 1948, e dunque al teatro dell’assurdo. Ed è questa forse la scommessa del regista-interprete: coniugare il teatro della grande tradizione con la modernità e il presente. Ma qual è, alla fine, il messaggio? Il filo conduttore dell’opera è quello tradizionale. Re Lear, volendo abdicare e dividere il regno tra le sue tre figlie, chiede a Goneril, a Regan (non presenti sulla scena) e alla minore Cordelia (la brava Arianna Primavera) di fornire “una prova d’amore”. Ma, mentre Goneril e Regan, adulano e ingannano Lear, Cordelia, che poi sposerà il re di Francia per riscattare il genitore, disgustata si rifiuta sostenendo che “il suo affetto è quello dovuto da ogni figlia al padre”. Da qui l’ira del re che la disereda e la allontana e da qui la trappola in cui cade, tesa dalle due figlie traditrici, che riducono Lear alla povertà e soprattutto alla follia. Vagando nel regno e poi nella tempesta il sovrano di Britannia urla, lamenta, ragiona e sragiona sul male in cui è precipitato. “Distruggi tutti i semi che fanno l’uomo ingrato!”, implora la Natura.
Il rapporto dei padri coi figli tanto attuale, l’illusione dell’invincibilità del potere, la caduta dell’arcaico patriarca, l’eterna questione della vita e della morte e, infine, una scuotente riflessione sulla Natura sono i temi centrali. “Ho immaginato un re non semplicemente arrivato alla fine dei suoi anni, ad un passo anagraficamente dalla morte – ha spiegato l’attore-regista – ma piuttosto spinto dalle circostanze e dalla trama a cercare nella maturità, e non nell’età, il tassello conclusivo della propria vita”. Aspettando Re Lear ha debuttato al Napoli Teatro Festival e al Teatro Romano di Verona, prime tappe di una lunga tournée, che ha visto applauditi Nando Paone nei panni del conte di Gloucester, figura di spicco della trama secondaria. Poi Roberto Manzi nelle vesti del fedele Kent, l’esiliato favorevole a Cordelia che sotto mentite spoglie non abbandona Lear. Infine, Valerio Ameli, interprete di Edgar, il figlio legittimo di Gloucester. Alessandro Maggi ha firmato la supervisione artistica. L’impianto è multidisciplinare e fonde arte contemporanea e teatro. Con quale obiettivo per Preziosi? L’artista ha spiegato che “il suo” Re Lear sfocia “nella messa in scena dei presupposti del terzo Paradiso”: “La terza fase dell’umanità – così l’ha definita – che si realizza nella connessione equilibrata tra l’artificio e la Natura. L’uomo deve cercare di non essere debitore alla Natura di ciò che indossa: il senso dell’abito, del superfluo, dello stretto necessario sono le tematiche di Michelangelo Pistoletto, che porto a teatro. L’uomo nella sua nudità trova sé stesso, e così noi attori durante lo spettacolo veniamo privati dei vestiti, per farci vedere per quello che siamo”.
Un susseguirsi di scene, una presenza sempre in campo per due ore filate, senza interruzione, Preziosi-Re Lear è sempre lì, al centro del palcoscenico o nell’ombra, per dare tutto di sé, con la fronte bagnata, il naso che gocciola, perfetto nella dizione, imponente nei gesti e nella retorica, ma al tempo stesso anche creatura, quindi smarrito e augusto, sovrano e padre, il regale e il decaduto che si avvia al finale. Sappiamo che l’opera ha avuto numerosi adattamenti e alcuni prevedono la morte dell’adorata figlia e la morte del Re. Ma qui la voce che avrà avvolto l’attore-regista sarà stata il sussurro della celebre poetica del Bardo improntata “all’amore, più amore”, così che l’ultima scena sfocia in un finale inedito e inatteso. Il fatto è che Alessandro Preziosi è anche “il bello delle serie tivù”, il divo del cinema, l’artista ecclettico, ma soprattutto un attore serio e costruito.
Nella sua performance passano in filigrana il Re Lear del 1972 di Giorgio Strehler, il Re Lear del 1984 per la regia di Glauco Mauri, e in particolare il Re Lear del 1995 diretto da Luca Ronconi con l’adattamento e le scene di Gae Aulenti. Forti i richiami a Vittorio Gassman, proprio nel teatro a lui dedicato, l’immortale maestro scespiriano e l’intramontabile interprete dell’Amleto e dell’Otello. Possiamo dire che Alessandro Preziosi ne eredita spazio e profili? Insomma, sì, siamo pure moderni, ma anche antichi e ancora più antichi. Perché “la follia”, di cui Preziosi si è talmente vestito che mi chiedo se riesca a spogliarsene, non ha un tempo e un luogo. È una condizione alterna e ripetitiva, è la condizione umana. Infuriate venti, bruciate la mia testa bianca. Al termine della messa in scena, dopo il tributo di applausi, sono salita anche io nei camerini per complimentarmi. Ho visto la porta socchiusa, mi sono fatta coraggio, sono entrata e stavo per dire qualche parola quando lui mi ha interrotto: “Mi scusi, non capisco, ora sono con la testa da un’altra parte”, ha detto mentre mi firmava l’autografo. Ho notato i suoi celebri occhi ancora gialli per la fatica, poi piano piano ho riconosciuto, in fondo, laggiù, l’inconfondibile turchese. Ecco un uomo nella tempesta con la follia di tutti i tempi.
Aspettando Re Lear
Regia di Alessandro Preziosi
di Tommaso Mattei
da William Shakespeare
Opere in scena: Michelangelo Pistoletto
Costumi: Città dell’arte/Fashion Best
Olga Pirazzi, Flavia La Rocca, Tiziano Guardini
Musiche: Giacomo Vezzani
Supervisione artistica: Alessandro Maggi
Re Lear: Alessandro Preziosi
Gloucester: Nando Paone
Kent: Roberto Manzi
Cordelia: Arianna Primavera
Edgar: Valerio Ameli
Produzione: Pato srl, Teatro Stabile del Veneto e Teatro della Toscana
Teatro Quirino-Gassman, Roma fino al 17 novembre
Aggiornato il 11 novembre 2024 alle ore 12:55