La frana di Agrigento del 1966

Desta enorme interesse il libro di cui è autrice Katia Massara, docente di storia contemporanea all’Università della Calabria, edito da Rubbettino Editore, con il titolo Agrigento 1966. La battaglia del ministro Mancini per la tutela del territorio. Il libro, con uno stile narrativo efficace e sorretto da una accurata documentazione storica, racconta la tragedia che si verificò ad Agrigento, quando una frana, il 19 luglio 1966, nelle prime ore del mattino, travolse alcune costruzioni, situate nella zona adiacente alla Valle dei templi. Il ministro Giacomo Mancini, socialista, non si limitò ad assumere le misure per contenere i danni e le devastazioni della frana ad Agrigento, ma con senso dello Stato e con rigore morale rilasciò in Parlamento e al cospetto della pubblica opinione dichiarazioni dure e aspre per disapprovare il comportamento della classe dirigente politica e amministrativa della città. La classe dirigente di Agrigento, sotto gli occhi di tutti, aveva coperto e favorito un enorme scandalo edilizio, che diede luogo a quello che venne chiamato, dal grande giornalista Lino Jannuzzi, il sacco di Agrigento.

Le immagini di Agrigento ferita dalla frana, con interi palazzi crollati, avevano destato una forte emozione nella coscienza del Paese e in tutto il mondo, visto che la frana era avvenuta in un luogo in cui vi era un sito archeologico, la Valle dei templi, dagli studiosi celebrato in tutto il mondo. I costruttori avevano eretto, con la complicità degli amministratori di Agrigento, e dei funzionari comunali, palazzi di oltre dieci piani al di sopra di un terreno franoso, in seguito ritenuto instabile e inadatto. Due anni prima che avvenisse la tragedia, una inchiesta condotta dal viceprefetto Nicola Di Paolo e dal maggiore dei carabinieri Rosario Barbagallo aveva rivelato la illiceità di quelle costruzioni, e i rischi per la sicurezza dei cittadini e la salvaguardia del patrimonio artistico, mettendone a conoscenza il Governo regionale, il Governo nazionale, la magistratura. Purtroppo nessuna misura era stata presa per scongiurare il peggio e tutelare la sicurezza dei cittadini di Agrigento. Lo scandalo derivante dal sacco di Agrigento suscitò una ondata di indignazione nella pubblica opinione nazionale, poiché ad Agrigento mancava il piano Regolatore.

Le regole erano state violate, sia per la costruzione di modeste entità abitative sia per quelle di grande mole. Mancini, ministro socialista dei Lavori pubblici, con coraggio e senso della responsabilità, non esitò a dichiarare nelle assemblee parlamentari che ad Agrigento, nel campo delle attività urbanistiche e dell’edilizia, vi è stata la mancanza di una legislazione adeguata. La sola legge seguita dagli amministratori e dai costruttori è stata quella dell’arbitrio. Tutto il partito della Democrazia cristiana, malgrado la gravità degli eventi avvenuti ad Agrigento, si schierò in difesa dei suoi esponenti locali, adducendo la tesi che le irregolarità emerse ad Agrigento erano presenti in molti altri comuni italiani. Mancini, da ministro socialista, dovette assumere le misure per fronteggiare la emergenza ma anche per individuare le modalità per la messa in sicurezza del territorio e per evitare il pericolo che fatti delle stesso tipo potessero ripetersi altrove. Lino Jannuzzi, con una immagine efficace, nel suo articolo sulla frana di Agrigento, osservò che i nuovi mafiosi avevano sostituito la lupara con l’arma più efficace del ricatto, della vessazione intimidatoria, della corruzione.

Mancini, dimostrando una visione moderna e chiara e razionale, decise in quella circostanza di istituire una Commissione d’inchiesta per accertare e identificare i responsabile della frana e delle sue devastanti conseguenze. La commissione guidata da Michele Martuscelli, direttore generale del Ministero dei Lavori pubblici, nella sua relazione conclusiva dimostrò che ad Agrigento in merito alla situazione urbanistica, determinatasi per la colpevole inerzia della Pubblica amministrazione, vi era uno stato di diffuso e generalizzato disordine e una condizione generalizzata di palese illegalità. Inoltre, la relazione della commissione, rilevò la assenza di un assetto urbanistico civile e razionale. Mancini, come notò in aula, durante il dibattito parlamentare, un deputato del Movimento sociale italiano, Orazio Santagata, era stato lasciato da solo.

Questa osservazione, che proveniva da un parlamentare della opposizione di destra, all’epoca rivelò e mostrò la spaccatura politica che la frana di Agrigento aveva prodotto sia nel Governo sia tra il partito di maggioranza relativa e i suoi alleati. Dopo i fatti di Agrigento, Mancini aveva inviato al segretario del Partito socialista Francesco De Martino uno schema, che costituiva la base normativa per pervenire alla definizione di una nuova legge urbanistica. Inoltre, da oltre un anno, prima ancora che si verificasse la frana di Agrigento, Mancini aveva chiesto il parere e il concerto degli altri ministeri, interessati alla approvazione della legge urbanistica, senza ricevere i pareri necessari, circostanza che spiega la paralisi delle attività degli uffici istruttori che si determinò all’interno del suo ministero. Il 18 novembre del 1966, in occasione del primo congresso promosso a Roma da Italia Nostra presso il Teatro Eliseo, Mancini, facendo riferimento alle alluvioni che avevano colpito città come Firenze e Venezia, sviluppò una riflessione degna di nota e molto profonda. La storia di questi anni, sostenne il ministro Mancini, ha segnato il passaggio nella nostra nazione da una condizione di Paese agricolo a una di Paese industrializzato e progredito. Questo fatto innegabile impone di promuovere a tutti i livelli la evoluzione della cultura, del costume e della legislazione. Tutti i settori del Pese devono essere ancorati ai valori della civiltà e della legalità e della socialità, e non solo a quelli economici. Nella città di Agrigento nacque un comitato, voluto dai costruttori responsabili della frana, per accreditare la tesi che la città fosse perseguitata e trasformata nel capro espiatorio della intera nazione.

Come notò nel suo intervento all’Assemblea regionale siciliana Pio La Torre, i colpevoli della frana di Agrigento non vennero individuati e identificati. Le critiche vennero rivolte al ministro Mancini, che aveva voluto la istituzione della Commissione d’inchiesta per indagare sulle cause e le responsabilità della tragedia accaduta ad Agrigento. Mancini, che riuscì a fare approvare la legge ponte designata con il suo numero 765, in una sua lettera indirizzata a Pietro Nenni la definì come il fatto più qualificante del Governo di centrosinistra. Nessuno pagò per il disastro di Agrigento. Infatti, nel 1974, nel corso del processo giunto alla sua conclusione, sia i costruttori sia gli amministratori dell’epoca vennero assolti e prosciolti da ogni imputazione. I risarcimenti per le famiglie colpite dalla frana arrivarono dopo un lungo periodo di tempo, oltre quarantatré anni. Katia Massara nella conclusione del suo libro, davvero molto bello, nota che il blocco sociale che si era formato intorno alla speculazione edilizia, animato da interessi trasversali, non venne battuto e annientato. Un libro utile sulla storia della Repubblica italiana.

(*) Agrigento 1966. La battaglia del ministro Mancini per la tutela del territorio di Katia Massara, Rubbettino Editore, 130 pagine, 13,30 euro

Aggiornato il 08 novembre 2024 alle ore 12:36