Avetrana, la tivù del dolore concede il bis: ecco la serie

Qualora non fosse bastata la tivù del dolore che, a partire dall’orrendo delitto di Avetrana afflisse l’immaginario dell’italiano medio in quella fine estate del 2010, il mercato delle miniserie televisive oggi ci offre un bis presentato venerdì alla Festa del cinema di Roma. Con un titolo, tanto per cambiare, ammiccante: Avetrana – Qui non è Hollywood. E invece proprio nelle prime scene del tutto, tratto dal libro Sarah. La ragazza di Avetrana (Fandango libri, 2020) di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, si respira un’aria paradossale da turismo di massa: pullman organizzati che portano i curiosi nei luoghi del calvario di questa povera ragazza uccisa per futili motivi da zia e cugina, in un paese dove la noia, la solitudine e l’ignoranza sono diventati gli ingredienti principali di un vero e proprio film dell’orrore. Va detto che il regista Pippo Mezzapesa ha fatto centro dal punto di vista tecnico e narrativo: i personaggi sono tutti caratterizzati in maniera fin troppo credibile e le scene nei luoghi originari dell’omicidio sconfinano nel registro dei più paurosi film horror.

Il tutto partendo dal farsesco malinconico di una provincia che impazzisce senza ritegno all’arrivo delle prime telecamere dopo quel 26 agosto 2010, giorno della scomparsa e dell’assassinio di una povera ragazza in cerca d’affetto da parte delle persone sbagliate. Però, il gioco di specchi di questi 257 minuti, divisi in 4 puntate, che andranno in onda da fine ottobre su Disney plus, non convince. Nel senso che non si sottrae al sospetto di volere fare rivivere sotto mentite spoglie come in un “richiamino” quella deplorevole tivù del dolore che ha tenuto per un paio d’anni gli italiani attaccati al piccolo schermo nel post prandium. Con i famigerati collegamenti da Avetrana in diretta, da casa di zio Michele e di Cosima Misseri e della loro figlia Sabrina. Le ultime due stanno scontando un ergastolo, zio Michele ormai è libero dopo avere scontato otto anni per autocalunnia e occultamento di cadavere.

Sullo sfondo, una provincia crudele, anzi “una provincia meccanica”, per citare un bel film, anche se poco noto, di Stefano Mordini, risalente ai primi anni del millennio in corso. Una provincia dove il confine tra il bene e il male non viene avvertito se non quando arrivano le troupe televisive da Roma, con annesso circo mediatico giudiziario al seguito. Negli anni Sessanta gli italiani, quasi analfabeti, si riunivano nei bar dopo pranzo per assistere alle lezioni di Alberto Manzi in Non è mai troppo tardi. Nel 2010, 50 anni dopo, l’involuzione della specie ha invece mostrato la morbosità di questa televisione seguita in perfetta solitudine ciascuno da casa sua. Gli italiani non erano più semianalfabeti ma molto fuori di testa, sì. Purtroppo. E la politica e la tivù si sono subito adeguate al nuovo “trend”. Avetrana, da quel punto di vista, fu una pietra miliare e altre ne sarebbero seguite. La miniserie in questione è sintonizzata sulla stessa lunghezza d’onda.

Aggiornato il 21 ottobre 2024 alle ore 10:36