La poesia commuove. E io guardando il poeticissimo Paradiso in vendita diretto da Luca Barbareschi confesso di essermi commosso. Per la semplicità della storia, un’isola sperduta in mezzo al mare di Sicilia che alcuni politici e spregiudicati faccendieri francesi vorrebbero comprarsi a suon di supervalutazioni sloggiando gli isolani a colpi di supervalutazioni in euro. Con il Governo italiano complice di questo scempio per ragioni di bilancio. L’isola ha un nome immaginario ma verosimile, Fenicusa, che ricorda neanche vagamente magari Filicudi. Per accaparrarsi il Paradiso da Oltralpe mandano anche un ambiziosissimo e rampante faccendiere parigino che sbarca sull’isoletta – lo scoglio come lo chiamano gli abitanti tutti pescatori – con il piglio di un Napoleone in sedicesimo. Notoriamente chi va per conquistare rimane conquistato e senza ulteriori disvelamenti se vogliamo la trama è tutta qui.
Ma se il diavolo fa le pentole spesso dimentica i coperchi e l’amore è uno di questo coperchi. Amore impersonato, insieme al lato lirico del tutto, dalla bravissima Donatella Finocchiaro. L’altro coperchio è l’incanto di un’isola che veramente appare come il Paradiso in Terra, di qui anche la poesia. Sembra che questa storia di vendersi le isole per sanare il bilancio in realtà sia venuta una volta al Governo greco, durante la crisi del 2015. Barbareschi ha traslato questa cosa mettendo l’Italia al posto della Grecia e la Francia – con un occhio alle recenti diatribe politiche, forse – dalla parte del compratore senza scrupoli. Ma l’uomo che viene mandato per convincere gli isolani viene chiaramente respinto con perdite. Perché la poesia risulta più potente del business.
E così, per dirla alla romana, i prepotenti fanno la fine dei “pifferi di montagna”: Vanno per suonare. E restano suonati. Stregati dalla bellezza della natura e dalla bontà di chi la abita preferendo una vita senza Internet ma in un Paradiso ai soldi che spesso tentano di comprarsi anche l’equilibrio e la serenità delle persone. Al regista Luca Barbareschi va pagato un debito di quelli che si devono a un animo nobile e gentile, se capace di emanare storie siffatte. Viva la faccia di questo tipo di cinema italiano capace di raccontare i sentimenti delle persone senza scadere nell’intimismo compiaciuto e talvolta autoreferenziale fino all’onanismo mentale di certi registi “de sinistra” che hanno sempre in poppa il vento triste dell’amichettismo compiacente di chi li recensisce.
Aggiornato il 18 ottobre 2024 alle ore 10:40