Visioni. “The Bear 3”, una serie tivù che continua a sorprendere

Dopo due stagioni di successo, torna una delle serie tivù più acclamate degli ultimi anni. The Bear 3, premiata con il Golden Globe 2024 per la Miglior serie commedia o musicale, racconta il percorso evolutivo di Carmy Berzatto (uno strepitoso Jeremy Allen White). Il giovane chef, insieme alla socia Sydney (una magnetica Ayo Edebiri), guida un nuovo ed elegante ristorante dalle ambizioni stellate, nato dall’eredità di The Original Beef of Chicagoland, la paninoteca bisunta del fratello suicida Michael (uno struggente Jon Bernthal). Per dare vita al nuovo progetto, per l’appunto The Bear, Carmy deve scontrarsi quotidianamente con una brigata, meno chiassosa di un tempo, ma pur sempre problematica. Della squadra fanno parte Richie (un intenso Ebon Moss-Bachrach), il pasticcere Marcus (un elegante Lionel Boyce), la cuoca Tina Marrero (una splendida Liza Colón-Zayas), l’amministratrice e sorella di Carmy, Natalie (una dolente Abby Elliott), il tuttofare Neil Fak (l’eccentrico Matty Matheson) e il finanziatore del ristorante, lo “zio” Jimmy “Cicero” Kalinowski (un ombroso Oliver Platt).

La magnifica serie televisiva ideata e diretta dall’autore statunitense Christopher Storer è un distillato di passioni, disillusioni e sensi di colpa. In Italia, la terza stagione (composta da dieci episodi) viene distribuita, ancora una volta, sulla piattaforma streaming Disney+, visibile dallo scorso 14 agosto nella sezione Star Original. Si tratta di una storia drammaturgicamente sorprendente che esalta le formidabili interpretazioni degli attori chiamati in causa. Sia agli attori protagonisti che ai non protagonisti viene concesso lo spazio per dare sfoggio delle superbe abilità d’interpreti. Non a caso, agli Emmy 2024 sono stati premiati, nella categoria serie commedia: Jeremy Allen White come Miglior attore protagonista; Ebon Moss-Bachrach come Miglior attore non protagonista; Liza Colón-Zayas come Miglior attrice non protagonista.

Un fatto è certo: per riuscire nel suo intento, Carmy Berzatto è costretto, suo malgrado, a rinunciare all’amore, alla salute, persino all’igiene personale. Soprattutto, rifugge le relazioni, sentimentali, familiari e lavorative, sacrificate sull’altare della perfezione creativa. Se The Bear 2 si è chiusa con il maldestro sfogo del protagonista rinchiuso nella cella frigorifera che miete una serie di vittime, in primis l’amata Claire (la fascinosa Molly Gordon), la numero 3 risulta, inevitabilmente, una stagione di raccordo. Verso un nuovo approdo narrativo. Un apologo meditativo, popolato da sentimenti sincopati e inespressi. Un esemplare racconto di donne e uomini impegnati ad arginare le rovine interiori e a contemplare la decadenza del mondo esterno. In questa nuova stagione viene approfondita, in maniera ammirevole, la psicologia di numerosi personaggi. In particolare, emergono i caratteri femminili: quelli delle già citate Tina e Natalie, insieme a Donna Berzatto (un’eccezionale Jamie Lee Curtis) e Andrea Terry (una convincente Olivia Colman). Non a caso, due episodi si stagliano sugli altri: il sesto, Napkins (Tovaglioli), che racconta come Tina sia arrivata nella cucina della paninoteca; e l’ottavo, Ice Chips (Cubetti di ghiaccio), in cui Natalie va in travaglio e si scontra-confronta con la madre, Donna.

Carmy sfida l’eccellenza. Non si accontenta di essere bravo o, addirittura il migliore. Vuole “restare”, farsi ricordare, rimanere nella memoria collettiva. È intenzionato a fare la storia della cucina. Uno scopo assoluto. Il pranzo stellato cui ambisce Carmy è un viaggio sensoriale unico, reso attraverso l’uso di ricercate geometrie e ispirati cromatismi. Per queste ragioni, combatte continuamente con sé stesso cambiando ogni giorno il menu da servire agli ospiti, sempre più esclusivi. Anche se lo spettatore si trova al cospetto di una storia quasi perfetta, bisogna ammettere che rispetto alle due precedenti stagioni, si registra un inevitabile abbassamento della temperatura narrativa. Un calo fisiologico. L’esempio più eclatante è dettato dall’eccessivo richiamo alle pur sublimi sequenze di montaggio. Tuttavia, la messa in scena, costellata da primi o primissimi piani e dalla sicura direzione degli attori, confermano il superlativo livello autoriale della serie tivù.

(*) La recensione delle due prime stagioni della serie tivù The Bear

Aggiornato il 20 settembre 2024 alle ore 18:56