Langioletto è una storia molto bella di Georges Simenon, a tratti commovente. Si tratta dell’infanzia, adolescenza e poi vita matura di Louis Cuchas, nato in un ambiente modesto e che, forte della sua sensibilità, diventa nel tempo un pittore di grande fama. Louis è il figlio più gracile e malmesso della tribù dei figli di Gabrielle, una venditrice con il carretto di frutta e verdura, come sua mamma. La mamma di Vladimir – che in realtà si chiama Joseph – di Alice, dei gemelli Olivier e Guy, di Louis e di Emilie, subito morta di malattia dopo neanche un anno di vita. È una donna bellissima che si accompagna a tanti uomini, perché ne sente il bisogno, ma che non è “una puttana”, lo specifica lei stessa di fronte alle accuse del primogenito spavaldo e aggressivo. Vivono e dormono, i figli di Gabrielle e di tanti uomini diversi, sul pagliericcio, accatastati e nutriti alla bell’e meglio, con fatica ma anche con gioia dalla madre. “Prendeva la vita come veniva, apprezzandone i lati migliori, accettandone senza mostrarsi scontenta quelli meno buoni e ignorando il resto, quasi non esistesse”.

La storia è commovente perché si sviluppa all’interno del rapporto sempre più stretto e affettuoso tra la mamma e Louis, tanto diverso dagli altri fratelli, a cominciare dal cognome che è quello della mamma. Louis è piccolo, basso, affatto assertivo, tantomeno aggressivo. È “l’angioletto” perché, di fronte alle cattiverie o provocazioni degli altri rimane assente, muto. Questo perché non è come gli altri, in generale e in particolare nell’ambiente sociale spiccio dove cresce, dedito a una vita grezza, sfiancante.

L’angioletto vive in una sorta di “incantesimo” ed incantamento verso la vita, e ciò che di più bello e stupefacente in essa è. Tanto la madre e i fratelli sono “terragni” (terreni) tanto lui respinge la realtà che lo circonda. È incuriosito dalle piccole cose, dai suoni e dai colori, anche dalle persone, fino ad un suo sfociare in una pittura dai colori “puri”. Cioè quanto più vividi e ricolmi di luce, quanto più vicini alla bellezza. “Erano la sua ossessione, i colori puri. Non gli sembravano mai abbastanza chiari, vibranti. Avrebbe desiderato vederli guizzare”. “Più che un mondo, era un libro di immagini, forse ridicolo, del quale non aveva voglia di parlare”. L’immaginazione lo sospende, lo eleva.

Splendido il rapporto con la madre: “Non ridi mai. Sei felice, Louis? Felicissimo, mamma”. E ancora: “Non avresti preferito nascere in un’altra famiglia? Non c’è niente che ti manca?”. Risponde: “Ho te”. “Lei lo guardò stupefatta, con gli occhi lucidi. Davvero mi vuoi bene? Sì, mamma”. “Al mattino la madre si era quasi abbandonata alle confidenze, era stata affettuosa in modo inconsueto, e Louis aveva avuto l’impressione che gli volesse bene come a un gattino, tiepido, dolce e ancora indifeso”. “Buonanotte, ometto mio. Sei proprio bravo, sai? Spero che, più in là, non conserverai un ricordo troppo cattivo di me”, confessa Gabrielle.

“Louis non era mai stato in tram. Non se ne rammaricava, non aveva alcuna fretta di vivere nuove esperienze, non cercava di allargare il suo universo. Anzi, forse tutto ciò che si trovava all’esterno di quel cerchio ben delimitato gli faceva paura. Lasciava che il mondo arrivasse a lui a poco a poco, un pezzo alla volta”. Quando via via arriva, Louis scopre la pittura e quello che lo assillerà nel profondo: cogliere la vibrazione e la luce. “Non riesco a ottenere lo scintillio che vorrei, la vibrazione dello spazio tra gli oggetti. Capisce?”.

(*) L’angioletto, Georges Simenon, 2013, Adelphi, 197 pagine, 12 euro

Aggiornato il 28 agosto 2024 alle ore 18:29