Se la sinistra italiana è una continua produttrice di banalità culturali, obsolete e stantie, per nulla o quasi in antitesi con la destra nostrana, troppo intimorita e succube per alzare la testa, gravata dal suo perenne “senso di colpa” e “complesso d’inferiorità”, anche quella francese, come abbiamo potuto ben vedere durante l’inaugurazione dei Giochi Olimpici, non le è da meno. Infatti, i conservatori nostri cugini dalla vie en rose vorrebbero aumentare – giustamente – i finanziamenti per le loro opere d’arte più antiche, quell’arte che Roxana Azimi su Le Monde ha definito futuristicamente “vecchie pietre”, con buona pace di John Ruskin che invece le esaltò nella sua Venezia. Eppure lei, che si occupa d’arte contemporanea, per prima dovrebbe sapere che nulla è più attuale e contemporaneo dell’antico, perché perenne e immortale. E nulla invecchia più velocemente della proiezione culturale e artistica di un qualcosa destinato a essere surclassato sempre dall’eternità.
Del resto, la gauche che da tempo non frequenta più neanche l’omonima riva della Senna, mulinando la baguette sanculotta e con tanto di berretto frigio di traverso, attacca il Rassemblement National di Marine Le Pen, incolpandolo di essere reazionariamente legato a una Francia del passato. Si sa che la sinistra è da sempre progressista, futurista più d’ogni altro, e come tale ha invisa ogni forma d’arte o di architettura tradizionale, dalle cattedrali gotiche ai palazzi ai castelli. Se lasciassimo fare a loro, seguendo punto per punto il Manifesto futurista del 1909 su Le Figaro, sarebbero stati da tempo rasi al suolo i castelli della Loira e non solo, per tacere di quel pachiderma del Louvre come espresso al punto 10: “Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie (…)”. E continua con “ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione”.
Tutto questo tipo di pensiero nichilista, brutalista, è sempre quello figlio della Rivoluzione francese, del Terrore e dell’odio giacobino verso ogni forma di sacralità e bellezza. Nulla cambia. E pensare che Parigi ci ha dato geni assoluti da François Villon a François Rabelais, a Charles Baudelaire a Paul Verlaine e a Henri de Toulouse-Lautrec, soltanto per citarne alcuni a casaccio. E senza dimenticare l’unico grande antesignano, veggente e iniziato, in grado di anticipare il futuro senza esserne sconfitto, che fu Jules Verne.
Le “vecchie pietre” sarebbero dunque i resti romani della Camargue, le fortezze dei Pirenei, le file di menhir della Bretagna… tutta robaccia inutile da abbattere e da sostituire con cosa? Con sterminati campi fotovoltaici e file militari di pale eoliche? Gli stessi a sinistra che hanno esortato gli elettori a “respingere l’oscurantismo” dimostrano con la loro protervia che il secolo dei lumi, l’Illuminismo ancor di più, non è mai terminato. Certo, avrei preferito vedere impiegate le risorse economiche dello Stato italiano in una mostra che ricordasse, al Paese e al mondo, la grandezza della nostra arte sino all’Ottocento, piuttosto che la prossima mostra che si terrà in autunno alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, eretta a peana del Futurismo. Ma ognuno ha i propri gusti e io mantengo i miei, preferendo Cosmè Tura, Pietro Bembo e Giuliano da Sangallo a tutta la turba marinettiana. Avrei voluto persino, dovendo proprio ricordare la prima avanguardia, che venisse allestita una gran mostra sulla Scapigliatura dimenticata da tutti nella sua visionaria grandezza e originalità.
Lo so, chi scrive queste righe è notoriamente un “bastian contrario” che si diverte – che mi diverta è verissimo, come in tutto ciò che faccio – ad andare controcorrente e come tale deve fare polemica su ogni cosa che non lo aggradi. Il che del resto, è un diritto. Criticare, avere un’opinione differente, distaccarsi dal volgo e dalla plebe è un mio diritto che esercito con aristocratica costanza e maniacale precisione, perché non si può né si deve soggiacere alla follia di questo mondo. Che poi sia “moderno” o “futuro”, poco importa. L’imperativo è ribellarsi sempre alla banalità imposta dal pensiero unico e dal politicamente corretto.
Aggiornato il 05 agosto 2024 alle ore 09:29