Animal House e l'importanza di essere stupidi
I comfort movie sono quei film che guardiamo a ripetizione, senza stancarci mai, facendone abuso nei periodi più bui dell’anno. Ma c’è chi va oltre – come il sottoscritto – e utilizza una pellicola a lui cara come fosse una magic ball. E quindi, prima dell’esame di maturità, prima di un colloquio di lavoro o prima di un appuntamento importante, ci si ritrova a cercar vaticinio nelle parole e nei gesti di personaggi immaginari. In particolare, il film che è riuscito (e riesce) sempre a guidarmi per la retta via, è Animal House di John Landis. In questo caso, non si può neanche parlare di “film preferito” perché se dovessi trovare una pellicola e battezzarla come prima inter pares – una pratica violenta, sconsiderata e aberrante – questa di sicuro non sarebbe Animal House. Ma non è ancora uscito un film che, anche al 100° rewatch, riesca a rispondere a tutti i miei dubbi, presenti e passati, alla stregua del junior movie del regista di Blues Brothers.
Perché Animal House non incarna la rivincita del più debole, non è il trionfo dei nerd e neppure racconta la storia del ranocchio che riesce a sposare la principessa pur rimanendo un anfibio. John Blutarsky, Eric "Otter" Stratton, Boon e compagnia bella sono stupidi, cattivi, viziosi, e malvagi. Sono gli scarti della società, paladini di una generazione (o generazioni) che ha pagato l’inserimento in società con il libero arbitrio. Ma questa piccola confraternita – che nel XX secolo è stata il minimo comune denominatore delle comunità medio-borghesi americane – ha deciso, senza previo ragionamento (stando alla sinossi del film), di dire no al conformismo, alla catena di comando e alle angherie delle istituzioni. Non esistono poteri buoni direbbe Fabrizio De André, e Blutarsky non può che essere d’accordo.
Non è affatto necessario sapere che Pearl Harbor sia stata bombardata dal Giappone per conoscere il valore della comunità. E la Delta House lo sa bene, e alla notizia dell’espulsione dalla Faber University (sette anni di college buttati nel cesso), dovuta sì al fatto che “ad ogni halloween sugli alberi c’è una fioritura di mutande ed ad ogni inizio di primavera i cessi esplodono” – come ricorda a inizio film il preside Vernon Wormer – ma soprattutto al fatto che la Delta non è allineata con la politica del College, i confratelli decidono di insorgere. L’unico peccato commesso da Blutarsky e i suoi è stato quello di non rispettare le istituzioni che a loro volta li hanno abbandonati.
L’insegnamento più importante di Animal House è che sbagliare è importante, ridere è importante, non prendersi sul serio è importante e che con la compagnia giusta, con persone legate da un indissolubile senso di amicizia, nulla è impossibile. Certo, alla fine della fiera – e dell’iconico attacco alla parata della Faber – Otter, Boon, Blutarsky, Pinto, Flounder e D-Day vengono comunque espulsi dal college, e qualcuno potrebbe replicare: cosa resta adesso ai nostri protagonisti che si sono ribellati allo status quo? a parte un cavallo sulla coscienza, ai confratelli della Delta House restano i ricordi, le risate, gli aneddoti e il tempo passato insieme. Ed è questa la cosa più importante. Perché noi non siamo altro che i legami che creiamo.
Insomma, in quei momenti in cui pensiamo che la vita ci abbia portato via tutto (hanno portato via anche il bar), sdraiamoci sul tappeto e pensiamo alla frase più iconica che John Landis ha fatto recitare a John Belushi, il nostro Bluto: “Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”.
Aggiornato il 02 agosto 2024 alle ore 12:26