Due sono i canti banditi dall’iconoclastia dei nostri tempi: il primo è “…Sole che sorgi libero e giocondo sul colle nostro i tuoi cavalli doma; tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma, maggior di Roma! Benedici il riposo e la fatica che si rinnova per virtù d’amore, la giovinezza florida e l’antica età che muore...” noto come Inno a Roma di Giacomo Puccini; e l’altro è la leggenda del Piave, il Piave che mormorava, di Giovanni Ermete Gaeta. Oggi canticchiarli per strada potrebbe anche incontrare le ire di qualche elettore della Salis. E si stenta a credere che un giovane sappia chi siano stati Puccini o Ermete Gaeta detto Mario, anche Gabriele D’Annunzio pur se più noto è stato comunque colpito dalla damnatio memoriae (fatti salvi alcuni ripescaggi strumentali in salsa socialista).
Ma circa un mese fa, per la precisione sabato 29 giugno e martedì 2 luglio, è stata data la migliore risposta possibile all’insipienza raggiunta dal Festival di Sanremo e dalla cultura musicale trap, e già questo è tanto.
Probabilmente il Teatro dell’Opera di Roma non aveva tra i propri intenti dimostrare che la buona musica è lontana dall’arcinoto Festival di Sanremo: ma Vissi d’Arte, Vissi d’Amore aspettando Giacomo Puccini nell’ambito del Caracalla Festival 2024 ha dimostrato che c’è anche un altro messaggio, che è ancora viva una tradizione difficilmente alienabile dall’imperante cancel culture.
A ricordarci a Caracalla che, la musica ed il teatro italiano sono latori di una tradizione che si è sedimentata in cultura lirica e poetica, hanno provveduto il “reading teatrale di e con Massimilano Finazzer Flory” (si legge così nel cartellone, intuendone l’occulta regia), il soprano Ilaria Sicignano, il tenore Marco Miglietta e la pianista Zenoviia-Anna Danchak. La narrazione di Finazzer Flory è stata tutta incentrata su lettere, documenti e testimonianze messe a disposizione dall’Archivio Storico Ricordi. Anche perché corrono cento anni dalla dipartita di Giacomo Puccini, e il “Comitato promotore delle Celebrazioni Pucciniane” ha presentato lo scorso 22 maggio una giornata di studi dedicata al grande compositore italiano, curata proprio dell’Archivio Storico Ricordi con il patrocinio del ministero della Cultura.
Va aggiunto che la narrazione di Massimiliano Finazzer Flory è andata volutamente oltre, perché la regia ha lasciato a tenore, soprano e pianista l’interpretazione delle opere liriche (Manon Lescaut, La Bohème, Tosca, madama Butterfly, Turandot…). Finazzer Flory ci ha fatto conoscere Puccini poeta e scrittore, disinvolto innovatore degli stili comunicativi, eccelso fotografo, intenditore di opere d’arte, frequentatore appassionato di ogni forma di spettacolo dal teatro al cinema, passando per competizioni automobilistiche e dimostrazioni di volo aeronautico, nonché guidatore di biciclette, sidecar, automobili e imbarcazioni veloci. Questo faceva di Puccini un uomo del suo tempo, un coraggioso italiano che, al pari del coevo Gabriele D’annunzio, conosceva alla perfezione i dettagli tecnici di ogni macchina del Novecento.
Finazzer Flory ci racconta un Giacomo Puccini eclettico direttore artistico di stagioni teatrali nonché attore nel neonato cinema, ma anche botanico ed ornitologo, poi vorace utilizzatore di ogni moderna tecnologia, dalle macchine per scrivere alle aperture automatiche di porte e cancelli. Puccini è anche l’antesignano di quell’attenta gestione della propria immagine che oggi ritroviamo in politici, attori e grandi imprenditori. Puccini e D’Annunzio, italiani che tramite l’arte e la personalissima comunicazione, hanno aperto l’Italietta al Novecento: creato e prestando volto e voce alle campagne pubblicitarie, e le loro collezioni ed archivi personali ci permettono oggi di capire che l’Italia era partecipe del nuovo secolo più di altre nazioni.
Chi scrive è grato all’amico Massimiliano Finazzer Flory, che ha raccontato l’eclettismo di Puccini e degli intellettuali del suo tempo. Soprattutto come l’opera di Puccini, anche se distante cinque secoli dalla Divina Commedia, fosse collegata a Dante Alighieri più della musica e letteratura dei nostri giorni, figlia di quella visione che ha volutamente riscritto la nostra storia in chiave antitaliana. La narrazione di Finazzer Flory ha fatto emergere che Puccini era uomo del futuro, e oggi sarebbe stato acerrimo nemico dei tanti musicanti che collaborano a rinchiuderci in stereotipi e mode, nei limiti del politicamente corretto.
Puccini di fatto era un futurista sprezzante del pericolo, privo di paure anche dopo un grave incidente: questo non rientra nei dettami del nostro tempo. L’autore de La Bohème oggi ci inviterebbe a disobbedire alle logiche di una vita virtuale, ma in totale sicurezza cibernetica. L’inno a Roma è un inno alla vita, vantando le proprie origini, e per questo a non sottomettersi ad altre tradizioni e culture.
Aggiornato il 30 luglio 2024 alle ore 13:04