Gran Bretagna: il declino di un ex-impero

La storia dell’ascesa e del declino della Gran Bretagna è da manuale nell’esaminare il percorso delle civiltà e delle società che nascono, arrivano al massimo e poi lentamente cominciano a collassare. Il sorgere ed il declino delle società dipendono dalla componente valoriale che caratterizza le classi al governo e nella loro capacità creativa.

L’Inghilterra nei primi anni del XVI secolo era considerata uno stato arretrato e sottosviluppato con un basso numero di abitanti, ma la rivoluzione nei mezzi di navigazione e nelle rotte del commercio marittimo hanno offerto un trampolino di lancio per una sua crescente affermazione a livello globale; progressivamente le navi atlantiche, i galeoni, soppiantarono le galere che ebbero nel 1571 a Lepanto l’ultima occasione di vittoria.

Sostituire l’energia umana delle galere con energia eolica e chimico-fisica dei galeoni a vela fu una rivoluzione nel mondo marittimo, sui galeoni fu poi possibile mettere sia in coperta che sottocoperta i cannoni rendendo quasi invincibili le armate marittime. La conquista del mare e degli oceani consentì di passare dal commercio nel Mediterraneo a quello atlantico con uno sviluppo senza precedenti negli scambi di beni e materie prime.

Fino all’inizio del XVIII secolo l’occupazione da parte degli inglesi e degli europei in genere si limitava alle fasce costiere ed alle basi navali ma l’occupazione dell’entroterra fu uno dei sottoprodotti della Rivoluzione industriale che contribuì a preparare il terreno alla stessa. Nella storia dell’umanità le interdipendenze trai vari fattori evolutivi non sempre operano in modo così evidente.

Non è casuale che la Rivoluzione industriale si sviluppi nell’Inghilterra che grazie alla sua potenza marittima aveva creato un legame con colonie che davano materie prime, consumavano i nuovi prodotti offrendo opportunità di ricchezze e continuamente nuovi mercati. Il potere economico e militare ha consentito all’Inghilterra di creare un impero coloniale senza pari nel suo periodo di dominio. La Rivoluzione industriale abbatte il vecchio mondo in tutti gli aspetti, produttivi, sociali – il capitalismo si scontra con il marxismo − demografici, politici, finanziari e cambia il modo di vivere nelle città a scapito delle terre rurali.

Accanto a questo sviluppo complessivo abbiamo una evoluzione della cultura, della tecnica, della scientificità che trovano nelle università un centro di crescita senza pari di tutte le materie. Le Università diventano centri di eccellenza e preparano la classe dirigente dell’impero rendendola capace di affrontare con creatività e conoscenza le sfide poste dal nuovo contesto globale. Londra diventa un centro finanziario ed assicurativo nodale per il mondo intero, si formano i nuovi banchieri ed i nuovi assicuratori per la crescita dell’impero; la classe dirigente è di alto livello e superiore a quella degli altri stati concorrenti e contribuisce a rafforzare l’impero che fino allo scoppio della Prima guerra mondiale renderà l’Inghilterra l’impero dominante nel mondo poi lentamente comincerà il declino.

Nel periodo del suo massimo fulgore cominciano le condizioni per il declino infatti aumenta l’autoreferenzialità e la mancanza di autocritica che comincia a ridurre lo spirito creativo di risposta al mondo che cambia. 

Dagli anni Trenta il declino diventa sempre più evidente per una minore capacità nella élite al potere di affrontare le nuove sfide con creatività rimanendo più propensa a ossificarsi sui fasti del recente passato. Illusa dal potere conquistato negli anni Venti decide come atto di forza di imporre la convertibilità della sterlina in oro; questa scelta, criticata da Keynes, fu un disastro legato all’incapacità della classe dirigente di capire i cambiamenti che stavano avvenendo nel mondo e di comportarsi in modo innovativo. Il crollo dell’iniziativa colpì le colonie creando i primi segni di dissenso da parte delle stesse che sarebbero cresciuti a ridosso della Seconda guerra mondiale. Figlio della stessa autoreferenzialità fu il perdente braccio di ferro per la tenuta del Canale di Suez nel 1956 finito all’Egitto di Nasser.

La rivoluzione finanziaria con la fine del gold exchange standard colpì la finanza inglese costringendola all’aiuto del Fmi, era un segnale di rottura con il passato e l’inizio vero del declino; l’ascesa di Margareth Thatcher e l’errore di seguire il neoliberismo finanziario dettato dagli Stati Uniti hanno determinato il collasso culturale ancora prima che economico. Avere sposato senza critiche il neoliberismo finanziario ha distrutto la manifattura che era di eccellenza in tanti settori ed ha preparato un declino ed una posizione politica di sudditanza agli Stati Uniti.

La Brexit, infine, frutto ancora una volta di cecità politica e figlia di una suicida autoreferenzialità ha fatto il resto, la classe politica si è dimostrata sempre più inadatta al compito del governo e del cambiamento richiesto dalla storia ruotando su sé stessa come la porta di un saloon; non le è mancata la ridicola farsa sul confronto con il nostro paese che a dispetto di rating marcatamente opportunistici dimostra una vitalità della manifattura che loro non hanno più.

Su questa strada si sono da tempo già avviati gli Usa con una mancanza di leader ed incapaci di trovare una soluzione ai problemi che pensano di risolvere allo stesso modo con cui li hanno creati; è già cominciato l’ondivago andamento del dollaro i cui sterminati volumi senza una base reale di riferimento sembrano un’immensa piramide rovesciata con alla base una minimale quantità di oro.

Quando vengono meno le qualità nella classe dirigente, la storia dell’Inghilterra lo dimostra e quella degli Usa sembra imitarla, le civiltà e le società cominciano a disgregarsi ed a collassare: “Allora comincia la decadenza profonda che non è una paralisi delle facoltà naturali della classe dirigente ma un collasso della loro eredità sociale che blocca ed inibisce qualsiasi azione di rinnovamento ed il crollo di una società interviene quando la decadenza è da tempo iniziata: le civiltà, in altre parole, non scompaiono per morte violenta ma per “suicidio” (A. Toynbee, Le civiltà nella storia, pag. 356).

(*) Professore emerito dell’Università Bocconi di Milano

Aggiornato il 29 luglio 2024 alle ore 08:09