Il mondo del cinema saluta Salvatore Piscicelli. Il regista napoletano è morto a Roma all’età di 76 anni. È considerato uno dei maestri di Paolo Sorrentino e Mario Martone. Appassionato osservatore del lavoro altrui, sperimentatore del linguaggio grazie alla formazione giovanile da critico cinematografico, era considerato un “maestro” anche se l’onore gli è sempre apparso esagerato. Nato a Pomigliano d’Arco il 4 gennaio 1948 era cresciuto nella Napoli dei primi anni Settanta, una città attraversata da un’autentica scarica elettrica sul fronte della cultura tra rinnovamento musicale, eredità teatrale della scuola De Filippo, volontà di rinnovamento e piena di talenti fioriti nell’underground delle cantine, dei teatrini, delle prime produzioni indipendenti nate dopo decenni di silenzio. Il suo era diventato il tempo di Werner Schroeter, artista errabondo sbarcato a Napoli con Ida Di Benedetto, la sua musa, nel 1978 con un film germinale come Nel regno di Napoli; della Nuova compagnia di canto popolare di Roberto De Simone, del laboratorio della compagnia teatrale Falso Movimento fondata da Angelo Curti e Mario Martone, di protagonisti come Enzo Moscato, Antonio Capuano, Aurelio De Rosa, tutti chiamati a costruire un’immagine della città lontana dagli stereotipi tradizionali.
In questo contesto il “ragazzino di provincia” Salvatore Piscicelli debutta dietro la macchina da presa nel 1976 con il documentario La canzone di Zeza, ma diventa presto un nome di riferimento con il suo primo lungometraggio Immacolata e Concetta (1979). Il film, interpretato da Ida Di Benedetto e dedicato alla “scandalosa” storia d’amore tra due donne sullo sfondo di una Pomigliano d’Arco in bilico tra sapori rurali e trasformazione industriale, fa scalpore, vince il secondo premio al Festival di Locarno, parla un linguaggio internazionale che sembra l’avanguardia di una nuova stagione del cinema italiano. Due anni dopo è in concorso alla Mostra del cinema di Venezia con Le occasioni di Rosa, ambientato a Secondigliano all’indomani del terremoto dell’Irpinia.
Grazie all’attenzione del regista per figure femminili forti e anticonvenzionali, l’esordiente Marina Suma vincerà il David di Donatello. A quel punto però la “nuova onda” del cinema italiano conosce un momento di stasi e, mentre appare l’astro di Massimo Troisi (che debutta nello stesso 1981), le strade della produzione diventano impervie per Salvatore Piscicelli, renitente a ogni compromesso commerciale e costretto ad aspettare il 1985 per una nuova regia. Sarà il musical Blues metropolitano con cui si conclude un’ideale trilogia partenopea che racchiude in sé gli umori di una stagione culturale. Infatti nel resto della sua attività artistica il regista rimarrà fedele ai suoi temi più profondi: la figura femminile, le contraddizioni segrete dell’amore e della coppia. Regina del 1987 con Ida Di Benedetto sembra oggi un omaggio al molto amato Rainer Werner Fassbinder; Baby Gang (1992) appare un profetico film pasoliniano, Quartetto (2001) richiama i dettami del “Dogma” di Lars von Trier. In mezzo va ricordato il suo impegno come autore e produttore per Rose e pistole (1999) affidato alla regia della compagna Carla Apuzzo. Nel 2003 firma l’autobiografico Alla fine della notte, con Ennio Fantastichini, per poi tornare due anni dopo all’antico amore (il documentario), con La comune di Bagnaia. Oggi ci lascia qualche romanzo, la riscrittura per la pagina di un paio di sceneggiature e il film-testamento tratta dal suo romanzo: Vita segreta di Maria Capasso (2019), con Luisa Ranieri.
Aggiornato il 22 luglio 2024 alle ore 18:26