La guerra per la cultura non è mai cominciata

Come giudica il tentativo del Governo di modificare il sistema culturale in Italia? “Esiste, questo tentativo? Dov’è? Io, per il momento, vedo soltanto nomine ai vertici di questa o quella istituzione controllata dallo Stato. Ma nelle case editrici, nelle redazioni giornalistiche, nelle scuole, nelle università, nelle società di produzione cinematografica, nelle compagnie teatrali, nel mondo della musica e via elencando niente è cambiato. E niente potrà cambiare se non si costruirà, poco alla volta, una nuova atmosfera culturale. Che ha bisogno di idee capaci di attrarre consenso e di ingegni capaci di produrle e farle circolare, non di direttori o commissari straordinari di questo o quell’ente. Per adesso, le premesse di questa rivoluzione culturale non riesco a scorgerle all’orizzonte”.

Con alcune nomine nelle istituzioni si è cominciato a parlare di nuova “egemonia culturale” della destra. Che cosa caratterizza precisamente quella che viene chiamata cultura di destra e la sua egemonia è un obiettivo da perseguire?

“La lotta per l’egemonia culturale (…) è parte essenziale della lotta politica. Per sfidare quella esistente, di segno progressista, che è tuttora molto estesa, bisogna sforzarsi di mettere in circolazione idee capaci di entrare gradualmente a far parte del senso comune, cioè di attecchire nella mentalità collettiva. (…)”.

Ancora prima, esiste un ceto intellettuale in grado di alimentare e promuovere una cultura così concepita? “(…) Decenni di egemonia intellettuale progressista hanno saturato gli ambienti culturali di cui dicevo, spesso anche grazie a politiche di nepotismo e clientelismo. E, salvo pochi casi, chi non aveva opinioni gradite è stato accuratamente tenuto fuori (…) Questo fenomeno accade tuttora, per esempio nel reclutamento nei dottorati di ricerca o in taluni ambiti artistici. Se le cose non cambieranno, questo ceto intellettuale non avrà modo di formarsi. E sarà facile, agli avversari, metterne alla berlina l’assenza”.

(…) “Detesto la faziosità degli “intellettuali militanti”, (…) e sono convinto che la disponibilità al dialogo sia uno dei requisiti fondamentali per chi fa cultura. Non sarà però facile convertire a questa pratica di civiltà chi è abituato a considerarsi moralmente superiore a chiunque abbia opinioni diverse e, soprattutto, teme di perdere posizioni di supremazia che riteneva definitivamente acquisite (…)”.

Lentamente, sporadicamente, saltuariamente qualcuno a destra si sveglia da un letargo pluridecennale e individua esattamente la situazione culturale dell’attuale Governo, così come ha fatto l’ottimo Marco Tarchi in questa intervista su La Verità.

Come già detto più volte anche da chi scrive, questo Governo “fascista” (lo scrivo in senso ironico per i soliti sinistrorsi che vedono fez e camicie nere ovunque), ben lungi da aver applicato quella “occupazione culturale” manu militari della quale è stato accusato spesso sempre dagli stessi che realmente hanno occupato e ancora presiedono i gangli operativi del “sistema cultura” in Italia, altro non ha fatto che collocare alcuni “fedelissimi” laddove prima era territorio della parte avversa ma senza di fatto incidere realmente sull’attività culturale del Paese.

Questo perché senza una visione, un progetto, un’idea organica, poliedrica, multiforme e multifunzionale non si va da nessuna parte. E io progetti, idee e visioni e soprattutto persone in grado di realizzarli non ne vedo.

Eppure, ci sono. Oh, se ci sono! Potrei fare decine di nomi di donne e di uomini dal grande valore e notevole peso culturale in ogni campo – ma non li farò perché sarebbe grazioso se li andaste a scoprire da soli – che sarebbero capaci di creare una vera e propria “rivoluzione culturale”, se soltanto le istituzioni ne riconoscessero il merito e le capacità e li lasciassero agire, concedendo loro i mezzi e ascoltando idee e progetti che nemmeno si sono mai immaginati né sognati, fermi come sono ai soliti pilastri “identitari” che si rifanno a John Ronald Reuel Tolkien (con moderazione, sia mai che si pensi poi che si favoriscono i Campi Hobbit), al Futurismo (lo impareranno mai che fu un movimento non di destra?) e a qualche altro variabile a seconda delle stagioni come la rivalutazione di Julius Evola in “area democratica”.

Io, notoriamente miope e astigmatico, vedo sempre invece un timore a manifestare le proprie idee per la paura della solita levata di scudi contro i “fascisti” (un po’ come il senatore Giuseppe Bottazzi meglio noto come Peppone, quando si sveglia in Parlamento gridando l’esecrando termine) che paventano di essere considerati tali, dimentichi dell’immenso apporto culturale che proprio il Ventennio portò nel nostro Paese in ogni campo, dalle belle arti, alla musica, alla letteratura e all’architettura. Ma allora c’erano idee, progetti, riconoscimento capacità di discernimento, cultura e soprattutto libertà, ma allora esisteva gente come Ardengo Soffici, tanto per fare un nome spesso dimenticato. Sì, perché il Fascismo lasciò liberi i suoi artisti, i suoi creativi, i suoi architetti. Insomma, favorì il meglio della cultura del suo tempo, cosa che oggi non avviene perché si ignorano ( a volte volutamente) coloro che valgono, si premiano e favoriscono soltanto gli “amici” o i “militanti” e questo quando non si creano vere e proprie opposizioni interne, non avendo – tra le altre cose – mai creato una “scuola” che formasse i giovani che sarebbero destinati a sostituire gli attuali dirigenti in  futuro. Non è stato fatto nulla e il poco che è stato attuato non è servito, segno evidente che qualcosa nel “meccanismo” non funziona.

Finché vigerà questo sistema miope e ottuso, volutamente immobile, rigido, arroccato sul mantenimento della propria posizione, non si potrà mai avere un efficace cambio culturale in questa nazione troppo spesso pavida e timorosa di osare, di rischiare (altro che futuristi e fiumani… altro che eroi e avanguardisti), di guardare oltre un orizzonte angusto e limitato da una sinistra ancora culturalmente dominante.

Il Belpaese, che sia detto per inciso, non può vivere soltanto d’arte e di cultura ma neanche senza, sarà quindi sempre destinato a essere servo e fedele cameriere di altri poteri, nazionali ed esteri. Perciò, non lamentatevi quando andate in Inghilterra o in Francia o comunque in altre nazioni e vedete come viene considerato da loro la “proria” arte e la “propria” cultura”. E ponetevi qualche domanda, magari pensandoci: potreste sospettare che le risposte siano anche in questo articolo.

Aggiornato il 01 luglio 2024 alle ore 10:49