“Fremont”, tra America e Afghanistan

“Fremont”, California. Prigione dorata per un film omonimo del regista Babak Jalali (in uscita nelle sale italiane dal 27 giugno), interamente in bianco e nero, o espressione di libertà? In verità, si tratta della vita particolare, come tante, di un rifugiato politico nella sua nuova Patria americana di accoglienza, che narra in questo caso la storia e gli incubi di una giovane traduttrice afghana di Kabul, in servizio alla base militare ai tempi dell’occupazione americana dell’Afghanistan, avvenuta in risposta all’attentato dell’11 settembre 2001. A seguito del disastroso e disordinato ritiro delle truppe statunitensi, completato il 30 agosto 2021, la protagonista Donya (Anaita Wali Zada), ad alto rischio di condanna a morte da parte del reinsediato regime dei talebani, con l’accusa di essere una traditrice e collaborazionista, è stata esfiltrata assieme al contingente Usa, trovando lavoro a Fremont, California, e accoglienza in un “compound” (complesso edilizio) occupato da immigrati afghani. Ed è proprio in questa terra straniera, tanto agognata e ambita ai tempi dell’occupazione dell’Afghanistan, che Donya si trova a vivere una scissione profonda tra la sua cultura e le aspettative di libertà, che le provocano notti insonni. Soprattutto per le sue giornate sempre uguali e il lavoro monotono di imbustatrice di biscotti con bigliettini a sorpresa, che la vedono lavoratrice sottopagata presso una piccola pasticceria artigianale, i cui proprietari asiatici sono come lei degli immigrati, marito e moglie, che mantengono intatti i loro pregiudizi etici. Soprattutto la proprietaria, gelosa e vendicativa delle attenzioni del marito nei confronti della sua lavoratrice afghana, si pone come unica figura femminile negativa, in un gineceo di donne che lavorano da molti anni nel biscottificio.

Ma, anche la parte maschile ha i suoi buoni e cattivi, come un compatriota che, ritenendola una “traditrice”, mal sopporta l’amicizia di Donya con la sua giovane moglie, rifiutando sistematicamente e con astio di ricambiarle il saluto. Per fortuna, al suo atteggiamento fanno da contraltare l’umanità profonda di altri rifugiati afghani, come il coinquilino Selim (Siddique Ahmed) che le offre il suo bonus per sedute gratuite di psicoterapia con il buffo psichiatra dottor Anthony (Gregg Turkington). Ed è lui ad aiutarla a cambiare prospettiva e ad aprirsi al mondo degli altri, impostando i suoi colloqui-monologhi, dove è quasi sempre lui a parlare, sulla citazione di interi passi del romanzo Zanna Bianca. Perché, in fondo, anche lì siamo in presenza di un mezzo lupo il quale, come Donya, fatica a trovare il suo posto nel mondo a causa della sua natura ibrida. Ma, una nave non è costruita per restare ancorata perennemente in un porto sicuro, bensì per navigare nei mari, come di fatto accade sempre alla vita-nave scuola di tutti noi, finché dura. L’altro grande rompighiaccio in questo isolamento autistico di Donya, è un anziano vedovo afghano, Aziz, che gestisce un piccolissimo street food. Il vecchio, oltre a rassicurarla nella conversazione in lingua madre, passa intere serate con la ragazza a vedere soap opera, fino però a decidersi lui stesso di rompere quel suo guscio protettivo e paterno, dopo aver spento definitivamente il televisore e averla invitata a trovarsi un uomo e un marito. Ma ci vorranno due mediatori, affinché tutto ciò accada e avvenga la mutazione del suo baco autistico, in colorata farfalla in nero.

La prima di questi, ha come protagonista una corpulenta e anticonformista collega di lavoro, Joanna (Hilda Schmelling), sempre alla ricerca deludente e frustrante di un partner sui siti di incontri, che la convince a partecipare al gioco degli appuntamenti al buio. L’altro mediatore è, invece, sua maestà il caso, quando un’anziana collega, addetta alla scrittura dei messaggi-vaticinio nascosti all’interno delle confezioni singole di biscotti, ha un malore improvviso e il proprietario chiede e ottiene da Donya di prendere il suo posto. A quel punto, decisa a forzare il suo destino di prigioniera volontaria della routine e dei suoi fantasmi notturni, la ragazza scrive più messaggi in bottiglia, tutti identici, con la richiesta di aiuto nei confronti di uno sconosciuto lettore che la venga a salvare. Per disgrazia, uno di questi bigliettini capita proprio nelle mani della moglie del proprietario nel corso di un ricevimento, che decide di vendicarsi di questa violazione della condotta etica sul luogo di lavoro (come si vede, un pregiudizio molto confuciano), e le prepara la trappola di un finto incontro. Solo che, per fortuna, anche per il demonio in gonnella, fatta la pentola, non si trova mai per completare la sua opera, il coperchio. In questo caso, il meccanico giusto!

Aggiornato il 24 giugno 2024 alle ore 11:22