Franz Schubert e la “Cantata dell’inflazione”

Sotto casa, una panchina, siedo volentieri, e guardo. Forse perché ho un cane, i cani mi si accostano, mi fissano, mi zampettano, cercano carezze che ottengono. Io faccio qualche parola con i padroni ai quali è di solito gradito l’elogio del loro cane, a mia volta narro del mio cane, e di aver vissuto con una scimmietta, il che stupisce: una scimpanzé nana (Resus), dicendone le meraviglie. Effettive. Bambini dormienti sul collo dei padri o delle madri, donne, sciamare degli esistenti, ragazzi sportivoni sui nuovi cicli elettrizzati, anziani stentati, e tra gli anziani talvolta giunge un signore, appassionatissimo di musica classica che memorizza al mio grado. Sicché scorriamo tempo a centellinare brani e disporre delle vicendevoli intese nell’espressione. È casuale la scelta: Sonate e Improvvisi di Franz Schubert, dal quale la musica usciva con una spontaneità involontaria, sognativa che travolge chi ascolta, lo trae fuori di sé: seguire, inseguire la musica come a voler raggiungere chi sa che. Poi, svegliandosi dall’incantesimo, scoppi di vivace energia giocosa, festaiola, di sicuro gli amici che circondavano il giovanissimo Franz passavano dal romanticismo estatico nostalgico-solitario-assorto alla danza, e noi due ci eseguiamo Sonate e Improvvisi. E se i passanti scorgono movimenti e canticchiate o ci considerano strambi o colgono che rievochiamo alcunché, di sicuro in-supponendo che eseguiamo Schubert.

La faccenda si dilungava secondo canoni di sempre, quando improvvisamente il mio co-esecutore ha il volto rattristo, interrompe il concerto, e mi dichiara che si reca a pagare le bollette. Il colpo è micidiale, dalla musica alle bollette. E non soltanto, il mio conoscente si dichiara ferito da questi pagamenti, e inoltrandosi vocifera di qualcosa che niente spartisce con la musica, colgo la parola: inflazione. Dice proprio: “Inflazione”, precisamente. “Ma lei, professore, si è avveduto di quale inflazione siamo vittime?”. Anche se la domanda è inaspettata, accenno di sì. A tal punto intona un’altra esecuzione, la definirei la Cantata dell’inflazione. Riporto a memoria. Non tutte le parole sono quelle del mio conoscente, gli argomenti sono reali, i suoi. “Lei ha notato di certo che tutto è accresciuto, gonfiato, strabiliato, il dieci è venti, venticinque, anche trenta. Lo sa, anche lei è un compratore, non viviamo di aria (accenno che non vivo di aria), ed allora?”. Sto per dire, mi placa. “Allora dovrebbero misurare gli emolumenti all’accrescimento dei prezzi! Ma tace, e anch’io ammutisco. Ma sarebbe una corsa nella tempesta, i prezzi aumenterebbero perché aumentano stipendi, salari, pensioni, lo Stato sprofonderebbe nel disavanzo, aiutando in debito, mi spiego o confondo?”. Sto per... mi precede. “Lei ritiene che le guerre e fermare merci di altri Paesi risolverà ciò? Perché c’è una guerra di mercati, o no?”. Sono disposto a... Mi precede. Musicalmente lo paragono all’Appassionata, finale, e al finale della Settima (Ludwig van Beethoven). “Guerra di mercati che potrebbe raggiungere la guerra delle armi. Escludere dal mercato Paesi che vendono a minor costo significa impoverirci o essere obbligati ad acquistare a maggior costo ossia impoverirci. Sbaglio? Non mi dica che proteggiamo le nostre economie se non proteggiamo i nostri consumatori, lei, io, tutti! Voleva dire che in ogni caso proteggiamo le nostre imprese? Voleva dire questo? No, professore, non lo pensi e non lo dica, noi cerchiamo di evitare la concorrenza e mantenere mercati esclusivi. Ma facendolo al modo presente roviniamo i consumatori. Vuole un esempio?”. Lo guardo senza movimento e parola. Glielo offro, sbandiero subito, i cinesi, in questa zona e ovunque abbondano, ecco acquisto, anzi acquistavo, si sono scossi anche loro, meno di noi, a costi ridotti paragonandoli ai nostri venditori. “I nostri venditori hanno costi maggiori e non sono aiutati dallo Stato? Dicono questo, dicono questo? Sa che dico io?”. Non lo so e attendo di sapere. “Semplice come una canzonetta: abbassate i prezzi e vendete di più! Abbassate i prezzi e vendete di più. E specialmente dimagrite le bollette. Non ne posso più, mi creda. Mi stanno rovinando la gioia della musica!”.

Aggiornato il 19 giugno 2024 alle ore 13:48