Arte e vita: un rapporto da investigare

Che l’arte sia rimedio salutare alle traversie dell’esistenza è opinione dichiarata sovente dagli artisti medesimi. Persino in autori infelicissimi, da Friedrich Nietzsche a Franz Kafka, l’enunciazione di questa presunta alchimia è detta, scritta. Giacomo Leopardi non mi pare ottimista, a riguardo. Mentre in un sommo infelicissimo, Ludwig van Beethoven si impose la gioia (Nietzsche lo seguì). La questione è aggrovigliata e serve spaziarla. In realtà queste personalità volevano essere felici, anzi pervenire alla gioia. Direi, volevano pervenire alla gioia, che, distinguendosi dalla felicità, non ignora il dolore. L’incredibile della faccenda è che personalità del genere in fondo si appagavano di pochissimo. Ed è il tratto del cosiddetto “genio”: la sproporzione, una reattività emozionale, mentale che rende estremo il futile, la percezione tragica dell’esistenza anche nelle minimità. Beethoven crepò di dolore per l’irriconoscenza dell’amatissimo nipote Karl. Sapeva, Beethoven, d’aver musicato opere piramidali eguaglianti Eschilo, Dante Alighieri, William Shakespeare. Niente di niente. Il disobbediente e villano nipote lo condusse alla cirrosi da ubriacatura e alla morte. Laddove invece, un gesto amorevole di Karl, lo glorificava. È l’antitesi del “genio”. Una minuzia rende felicissimi, sempre in nome della reazione spropositata che costituisce, ripeto, il “genio”. Quando Nietzsche vede Lou von Salomé la chiede in sposa o unione eterna. Però, Lou, accetta l’amicizia e si ferma. Ebbene, partendo con Lou, Paul Rée e credo la madre di Lou, al Lago d’Orta, Nietzsche fa una gita in barca da solo con Lou, e pare che vi sia stato un bacio. Dal quel momento Nietzsche si trasfigurò al grado che l’amico Friedrich Overbeck lo ritenne in stato esaltativo. Franz Kafka perviene a situazioni presso che inimmaginabili. Il fatto che Milena gli accordi un bacetto, spalla denudata e lo guardi volto appressato a volto stesa, vestita, su di lui, si impresse nella mente e negli scritti come risultanza abnorme. Forse con Dora ebbe qualche minuzia in più.

Leopardi non ebbe neanche un bacetto da femmina, anzi fu tenuto in basso conto quale uomo, con pena eternata. Di Leopardi, che esigeva pochissimo. Il tratto accomunante è l’esagerazione, la risonanza interna. Costituisce la differenza diseguagliante dei viventi. Sicché avviene l’incredibile: persone che in qualche modo non hanno vissuto, come Leopardi, hanno risonanza tale che il poco e niente diviene chissà che, mentre un individuo irrisonante può vivere terremoti e non vede e non sente. È la risonanza interiore che ci denota. Siamo umani per questo tratto. L’essenza della superiorità risonante. Torno alla questione. Il fatto che poi tali personalità e innumerevoli espressero le sofferenze d’amore, poniamo, compensò il soffrire. L’arte salvò la vita? No! È un luogo comune falsificabile. L’arte salva l’arte, non la vita. Ossia, l’opera espressiva riuscita dà gioia quando pure esprime dolore. Ma nella vita come esistenza diretta è tutt’altro. Leopardi, Beethoven, Nietzsche, Kafka vissero infelicissimi, e morirono disperatissimi.

La loro opera dà la gioia propria delle realizzazioni compiute. Certo, riversate in chi le concepì o le ascolta o legge o vede danno gioia. Ma la vita di coloro che ho nominati e, dicevo, innumerevoli, non si rimedia. Volevano rimediarla nella vita. Anzi, l’espressione del dolore lo fa vivere doppiamente. Con il manto regale della bellezza espressiva, certo. Ma spesso addirittura con effetto capovolto. Infelicissimi massimamente perché si riesce nell’opera, non nella vita.

Luigi Pirandello negli ultimi anni ebbe una glorificazione mondiale con una teatralità che frastornava il senso comune, una sofistica relativistica che sembrava dissolutrice. Un successo mondiale antipositivista. Disgraziatamente l’amatissima Marta Abba, forse delusa da una non realizzata congiunzione fisica con Luigi Pirandello, lo abbandonò. E trascinò l’interiorità di Pirandello, il quale si annientò perché non aveva più un sé stesso. L’arte salva l’arte. Ma chi la crea quasi sempre voleva anche vivere. Almeno non infelice.

Aggiornato il 13 giugno 2024 alle ore 17:49