“L’Impero” di Bruno Dumont, la via francese a “Guerre stellari”

Il gusto per la satira sociale è la cifra stilistica di Bruno Dumont. Anche il nuovo film del regista francese, L’Impero, ci introduce in una sorta di via dadaista a Guerre stellari. Il lungometraggio, che ha ricevuto l’Orso d’argento alla Berlinale, arriva nelle sale italiane domani, distribuito da Academy Two. Tra surrealismo, teatro dell’assurdo, astronavi che ricordano cattedrali gotiche, spade laser e paramenti sacri si svolge questa storia ambientata in un villaggio di pacifici pescatori sulla costa d’Opale a nord della Francia. Dietro le sembianze umane dei pescatori si nascondono due potenti razze extraterrestri pronte a scontrarsi fino all’ultimo sangue. Il figlio del pescatore Jony (Brandon Vlieghe), il piccolo Freddy, è al centro della contesa: nato dall’unione tra un extraterrestre e un’umana, crescendo diventerà l’ago della bilancia nella lotta tra gli “uno” (che rappresentano il bene) e gli “zero” (i cattivi). La principessa Jane (Amamaria Vartolomei), dell’impero degli “uno”, viene mandata sulla Terra per salvare gli umani dal male che potrà scatenarsi quando Jony farà crescere il suo erede come sovrano delle forze oscure.

Ma sulla Terra piomba anche Belzebù in persona interpretato dal sempre straordinario Fabrice Luchini. Va detto che in questa lotta tra extraterrestri c’è qualcosa di buono: indossando un corpo umano hanno la possibilità di fare sesso, una cosa del tutto nuova per loro e niente male. Ne approfitterà Jony prima con Jane e poi con Line (Lyna Khoudri): i loro amplessi sono ripresi da Dumont in campi molto lunghi in cui i protagonisti sono poco più di due figurine. Tra mucche, poliziotti pigri e discariche questa fantasy-comedy in salsa francese si avvia verso un finale pieno di astronavi e buchi neri. Nel cast anche Camille Cottin (la Regina); Julien Manier (Rudy); Bernard Pruvost (Van der Weyden) e Philippe Jore (Carpentier). “Ci sono due tipi di cinema oggi – dice Dumont – quello europeo e quello americano. Spesso trattano le stesse cose, ma ovviamente con approcci completamente diversi. Nei miei film ho spesso trattato del bene e del male, ma questa volta volevo affrontarli attraverso il metodo popolare americano di fare cinema con tanto d’intrattenimento e svago. Mi piace il cinema popolare e la mia intenzione non era quella di puntare il dito contro gli americani e dire: Oh, guarda quanto sono stupidi. Il cinema statunitense ha i suoi punti di forza e i suoi difetti, proprio come quello europeo”. E ancora Dumont: “I film di Hollywood sono più facili, più accessibili, pongono domande e semplificano le risposte e questo si presenta molto prepotentemente nella fantascienza, un genere che per sua stessa natura fa i conti con grandi idee, metafisica e trascendenza. Lo vedi, ad esempio, in Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e anche nei film di Star Wars. La questione dell’infinito è qualcosa che si evoca facilmente quando si impostano le cose giuste nello spazio. Non è complicato”.

Aggiornato il 13 giugno 2024 alle ore 15:36